Imparare dai grandi: Lezioni di letteratura di Nabokov

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“Una mente lucida, un quaderno, penna, pensiero, abbreviate i nomi ovvi, per esempio Madame Bovary. Non infarcite di eloquenza l’ignoranza”.
Così – come ricorda uno dei suoi studenti – era solito esprimersi prima degli esami il professor Nabokov alla Cornell Universiy, New York.
Se il nome di Vladimir Nabokov associato agli Stati Uniti suonerà sicuramente familiare ai più, ciò che forse potrebbe suonare inusuale è il titolo di “professore”; in realtà, colui che è noto al vasto pubblico come “l’autore di Lolita” iniziò a dare il proprio contributo alla letteratura ben prima di pubblicare il romanzo che lo avrebbe reso così celebre e, a dirla tutta, anche ben prima di approdare negli Stati Uniti.

Come il nome potrebbe suggerire, Vladimir Vladimirovič Nabokov non era affatto di origine anglosassone, bensì russa: nato agli sgoccioli dell’Ottocento in una famiglia aristocratica di San Pietroburgo (allora ancora capitale dell’Impero Russo), fu poi costretto ad emigrare in Germania in seguito alla rivoluzione del 1917. Qui visse per diversi anni nel vivace ambiente dell’emigrazione russa a Berlino e iniziò a pubblicare i primi romanzi, chiaramente in russo. Sebbene infatti Nabokov conoscesse francese e inglese fin dall’infanzia – merito dell’educazione impartita dalle governanti, come si addiceva a qualsiasi pargolo di famiglia aristocratica nella Pietroburgo prerivoluzionaria -, non imparò mai davvero il tedesco. Col trasferimento a Berlino fu preso, come egli stesso confessò, “dal panico all’idea di macchiare in qualche modo la mia preziosa coltre di russo se mai avessi imparato a parlare bene il tedesco”. Nella capitale tedesca scrisse anche quella che viene considerata la più grande (nonché l’ultima) delle sue opere in lingua russa: Il Dono, nelle cui pagine sono intessuti un omaggio alla letteratura russa e la nostalgia per la terra che aveva così precipitosamente lasciato.
Qualche anno dopo, non appena gli si presentò l’occasione di lasciare la conflittuale Berlino, approdò negli Stati Uniti, iniziò a scrivere in inglese e divenne titolare prima, tra il 1941 e il 1948, del corso di Letteratura Russa al Wellesley College e, successivamente, anche del corso intitolato “Maestri della narrativa europea” alla Cornell. Solo con il successo di Lolita (1955) poté dedicarsi esclusivamente alla scrittura.

Il volume Lezioni di letteratura, pubblicato nel 2018 da Adelphi, comprende materiale di vario tipo utilizzato da Nabokov per le sue lezioni sulla narrativa europea, raccolto, ordinato e curato a inizio anni Ottanta da Fredson Bower e tradotto poi in italiano da Franca Pece. Materiale eterogeneo – appunti più o meno schematici, note, intere lezioni battute a macchina o semplicemente manoscritti – che è stato necessario editare e organizzare con coerenza, come spiega lo stesso Bower nella prefazione. Materiale che inizialmente non era stato affatto pensato per stampa ma doveva solo servire da traccia per le lezioni sui grandi maestri della letteratura europea – Joyce, Flaubert, Kafka, Jane Austen e Proust, giusto per citarne alcuni – ma che anche in questa forma conserva tutta l’essenza delle lezioni nabokoviane.

Gli studenti americani che frequentavano i corsi di Nabokov poterono beneficiare degli insegnamenti di un profondo conoscitore della letteratura europea che, oltretutto, era passato personalmente attraverso alcuni tra i più drammatici eventi storici del Novecento e sarebbe diventato egli stesso uno tra i più rappresentativi autori del suo secolo, sia in russo che in inglese. Il fatto di essere praticamente trilingue fin dall’infanzia sicuramente aveva reso possibile a Nabokov accostarsi ai grandi classici della letteratura europea in modo autentico e diretto, fin dalla più tenera età: “Tra i dieci e i quindici anni, a San Pietroburgo, devo aver letto più narrativa e poesia – in inglese, russo e francese – che in qualsiasi altro lustro della mia vita. Mi entusiasmavano soprattutto le opere di Wells, Poe, Browning, Keats, Flaubert, Verlaine, Rimbaud, Čechov, Tolstoj e Aleksandr Blok”. Tale sensibilità linguistica, unita al suo acuto spirito critico (dopotutto, leggere Flaubert, Blok e Browning a dodici anni non è certo cosa da tutti), gli permise da adulto di preparare le lezioni che oggi è possibile leggere e seguire “a distanza”.

A noi, lettori dell’anno 2019, ciò che il testo di Adelphi offre di più prezioso non sono tanto le indicazioni sui personaggi di Casa desolata, sulla tecnica di transizione strutturale in Madame Bovary o sugli itinerari di Bloom e Stephen nell’Ulisse di Joyce. Quello che davvero conta è l’intento sotteso alle lezioni di Nabokov, ciò che egli voleva trasmettere ai suoi studenti: un intero modo di relazionarsi con la letteratura e di intenderla in rapporto alla propria vita.
L’idea centrale di Nabokov che emerge in tutte queste lezioni è quella che dedicarsi alla letteratura comprenda essenzialmente il prestare attenzione a due cose, intrinsecamente legate tra loro: agli aspetti strutturali e al genio individuale dell’autore che emerge attraverso le pagine. L’attenzione va quindi posta ai particolari, a quelle combinazioni che fanno “scoccare la scintilla senza la quale un libro è morto”, particolari che testimoniano il genio dell’autore e che si ritrovano soprattutto nella costruzione del romanzo. Lo stile e la struttura, per Nabokov, “sono l’essenza di un libro; le grandi idee sono risciacquatura per piatti”.

Tuttavia, come precisa il professore nel Commiato, non bisogna pensare che quello che egli tentò di insegnare ai propri studenti fosse una semplice e pedante attenzione allo stile fine a sé stessa, portata avanti con il puro scopo accademico di “indulgere alle generalizzazioni”. Lo studio dello stile così inteso apparirebbe uno spreco di energia e non farebbe altro che rafforzare in studenti e lettori la consapevolezza che i romanzi non contengono in realtà nulla che possa essere d’aiuto nelle difficoltà della vita. E su questo Nabokov è chiaro: effettivamente, studiare letteratura non ha alcuna utilità pratica.
Il lato pratico, però, non è l’unico da prendere in considerazione e, come cercò di trasmettere Vladimir Vladimirovič, l’utilità dello studiare letteratura sta in altro. Il senso di appagamento dato dall’opera d’arte ben costruita e il benessere che deriva dal comprendere come tale costruzione sia stata resa possibile ci fanno capire che i romanzi a qualcosa servono: essi vanno letti per la loro potenza evocativa, per la loro forma e per la loro arte. Essere in grado di fremere e di sollevarsi un po’ più in alto della propria normalità “per riuscire a gustare i frutti più rari a maturi dell’arte che il pensiero umano ha da offrire” non ci aiuterà nelle difficoltà pratiche, ma – secondo Nabokov – ci aprirà a quanto di meglio la vita può darci.

 

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