Paolo Sorrentino ne ha combinata un’altra. Ha tessuto un seguito alla serie tv perfetta, e l’ha fatto desiderare in vecchio stile, concedendone un episodio alla volta in uno stillicidio di circa otto settimane. Anticipata da una festa stroboscopica di frenetiche luci al neon piegate in forma di crux Christi e discinte novizie conventuali ancheggianti al fianco di icone sacre, la seconda stagione della spregiudicata The Young Pope (2016) è discesa tra noi. Battezzata, comprensibilmente, The New Pope.
E il nomen (omen) dice molto più di quello che si potrebbe pensare. In mezzo a una giungla a marchio Netflix di bolse, sfilacciate parti seconde, terze, e quarte appiccicate a brillanti prime stagioni come la coda al didietro dell’asino, The New Pope segna, innanzitutto, una cesura creativa. Sorrentino e i co-sceneggiatori Stefano Bises e Umberto Contarello (lo ricorderete forse per La grande bellezza, 2013) hanno avuto l’accortezza, e la stamina estetica, di proseguire un percorso di riflessione senza esaurirlo; di impegnarsi moralmente nel tenere in vita una poule di personaggi magistralmente assortita senza renderla un gregge di blateranti non-morti.
The New Pope, infatti, racconta i mesi dopo l’entrata in coma del papa giovane Lenny Belardo (Jude Law). Il Vaticano continua a essere funestato da intrighi di (santo) palazzo, lotte per un (più santo) potere, e – novità rispetto alla stagione precedente – terrorismo internazionale di matrice islamica. Un nuovo papa, John Brannox, in arte Giovanni Paolo III (John Malkovich), è asceso al soglio pontificio, e i suoi favori sono contesi dall’intera élite cardinalizia. Il tutto, immancabilmente, condito dalla più profana selezione musicale.
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Il focus di Sorrentino si sofferma così nuovamente sulla sindrome da potere acquisito. La macchina da presa del cineasta circonda inesorabile gli attori, in una prova di perizia registica che, nella sua filmografia, trova eguali solo ne La grande bellezza. Ogni movimento è così ponderato da risultare innato, naturale alla cinepresa. Ogni pull in e pull out odora di metafisica. È in effetti un occhio esterno, di essenza divina, a presiedere gli avvenimenti; una mente superiore a orchestrare una sinfonia di primi piani (si ascoltino gli arrangiamenti bachiani a opera dell’archetto di Peter Gregson), maestosi sfondi e monologhi di statura shakespeariana.
Contemplare The New Pope è come viaggiare su un ottovolante a velocità ridotta. E quando ritorni al montaggio veloce e narrativo del resto del mondo cinematografico ti si formano strani rivolgimenti in pancia.
Ma se è vero che la bellezza, nelle parole di San Tommaso d’Aquino, è veicolo di elevazione verso Dio, ecco che lo sforzo della regia di sicuro non basta. Ecco che anche la qualità dell’immagine viene chiamata in causa, e il curriculum di Luca Bigazzi (Sicilian Ghost Story, Youth, Il Divo), delegato di Sorrentino alla fotografia, non lascia spazio a dubbi. C’è una visione, dietro alle ombre contornate, i bianchi accecanti, e i contrasti pittorici che guidano ogni sequenza. The New Pope non è stata pensata per confondersi nella massa, ma per narrare persone prosaiche e straordinarie, santi e peccatori; angeli e demoni. E nel farlo, gareggia con le opere sistine di Michelangelo che tanto spesso fanno capolino sullo schermo nei convegni porporati.
Se Sorrentino è passato alla storia contemporanea come il cantore del potere, dunque, The New Pope, nel suo essere un poema sull’assoluzione dal potere più che sulla detenzione stessa del potere, segna uno scarto importante nella sua cinematografia e mette al centro della scena una nuova generazione di eroi. I quali, proprio nell’essere i maggiormente legati alle sfere del sacro, si rivelano i più terreni che la sua fantasia abbia mai concepito.
E sì, The New Pope non è una serie perfetta. Esattamente come fu per Loro, Sorrentino e la sua opera di scrittura scivolano sgraziatamente nel superfluo proprio quando cercano di diventare ciò che per nascita non sono: artigiani di trame alla Propp dove ogni ruolo è definito con l’accetta. Questo per dire che qualche volta e giravolta sul terrorismo è sgusciata tra le maglie della pura ispirazione.
Ma anche questo, in fondo, è parte del gioco. Anche questo parte di quella grandezza che la razza umana, troppo umana di Sorrentino è condannata a caricarsi sulle spalle mentre sospinge, vanamente, un masso sopra una collina.