Voi non siete un traduttore qualunque. Voi scegliete la musica. È come se steste scalando il monte Ararat fischiettando una di quelle canzoni dei vostri marinai. State componendo una musica celestiale.
Questo è quello che c’è di inedito nel lavoro di “Tyndale il traduttore”: scrivere una “musica celestiale” con le parole di “quelle canzoni dei vostri marinai”. William Tyndale fu il primo a tradurre la Bibbia in inglese, fatto già in sé rivoluzionario e, al tempo, eretico. Fece però di più: scrisse usando la lingua del popolo, semplice e quotidiana, ricca di immagini e metafore legate alla vita della gente. Volle “let there be light” per il popolo, che la Bibbia fosse chiara e accessibile a tutti, non solo agli ecclesiastici e al loro latino. Un pensiero sovversivo, che gli portò la persecuzione.
L’uomo che scrisse la Bibbia di Marco Videtta, edito da Neri Pozza nel 2019, racconta la storia di William Tyndale e le peripezie delle sue traduzioni. Videtta immagina, sulla base delle fonti storiche, la vita e i pensieri dello studioso, che si intrecciano con stralci del suo New and Old Testament. Tyndale, nato alla fine del 1400, fu affascinato dalla pubblicazione da parte di Erasmo da Rotterdam del Nuovo Testamento nella sua versione originale in greco, atto che sottintendeva la volontà di “tornare alla fonte”, allontanandosi dalla mediazione della Chiesa di Roma. Infatti, l’unica versione permessa della Bibbia al tempo era il testo latino tradotto nel quarto secolo, con cui l’originale greco era stato “interpretato” e che, per di più, era inaccessibile alla maggioranza dei fedeli.
Gli unici tentativi di tradurre stralci del testo biblico in inglese fino a quel tempo si trasformarono presto in condanne per eresia e nella pena di morte. Tyndale, sull’onda riformatrice di Erasmo e Lutero, decise di voler dare alla gente, “al contadino sul suo carro”, la parola biblica, traducendola direttamente dal greco e dall’ebraico. Questo lo portò a fuggire dall’Inghilterra e a contrabbandare in patria le sue traduzioni del New Testament: fu una delle prime mass-printing della storia.
Nel romanzo di Videtta si intreccia il racconto di due storie, che si incrociano nell’ anno domini 1530: una è quella di Tyndale, già fuggiasco ed esiliato, e l’altra è quella dell’alchimista Eleuterius. I due, incontratisi per caso, si ritrovano a confrontare le loro vite, spinte dallo stesso desiderio di verità e di conoscenza, ma approdate a delle conclusioni differenti. Nell’allontanarsi e riavvicinarsi di queste due vite per il lettore diventa sempre più chiara la loro affinità, che inizialmente nemmeno i due riescono a vedere. L’alchimista non può perdonare al traduttore, visto il suo grande intelletto e la sua voce poetica, di essersi messo al servizio della Chiesa secolarizzata e Tyndale, a sua volta, pensa che Eleuterius sia ancora lontano dal percorso migliore. Ma, arrivato alla fine del romanzo, il lettore vede le strade prese dal Traduttore e dall’Alchimista riavvicinarsi: l’aver entrambi, con onestà d’animo, “cercato la verità” diventa più importante delle diverse conclusioni di fede.
La storia di William Tyndale e L’uomo che scrisse la Bibbia non hanno un interesse puramente religioso: questo è un racconto affascinante anche dal punto di vista linguistico, storico e intellettuale. Tyndale, con la sua vita, compie un atto intellettualmente e linguisticamente sovversivo: consegna la possibilità di capire, di accedere alla conoscenza e di poterla valutare da sé. Il Traduttore sceglie anche, ripartendo dal testo originale in greco, di eliminare superflue complicazioni sintattiche e parole auliche: la lingua della Bibbia deve essere semplice, chiara, aperta a tutti. Un pensiero rivoluzionario per un intellettuale del XVI secolo.
Peraltro, leggendo L’uomo che scrisse la Bibbia, si possono scoprire molte curiosità sulla lingua inglese. Nel romanzo, al racconto delle vicissitudini di Tyndale, si alternano stralci delle sue traduzioni e riflessioni su come meglio rendere in inglese una parola o un concetto, che il narratore commenta e integra nella storia. Possiamo così entrare nella mente del Traduttore, ed essere incuriositi dal processo che portò alla stampa un testo così segnante. Scopriamo poi che molti modi di dire e espressioni oggi comuni in inglese nascono proprio dalla lingua plastica di Tyndale. Pensate a frasi come “the salt of the earth”, “fight the good fight”, “signs of the times” e “let there be light”.
Insomma, L’uomo che scrisse la Bibbia è un romanzo interessante per la rivoluzionaria vicenda storica che racconta, ma anche per la commovente storia d’amicizia e di solidarietà intellettuale che dipinge tra due uomini che cercano la verità e per la possibilità, data al lettore, di veder dispiegarsi, tra le pagine, il ragionamento linguistico di Tyndale il Traduttore e le sue creazioni verbali.
“immaginò un mondo unificato e pacificato da un linguaggio comune, la lingua che lui, William Tyndale il Traduttore, aveva coniato come una moneta di cui tutti avrebbero potuto fare uso”.
Un pensiero su ““Let there be light”: Tyndale il traduttore”
Interessantissimo articolo Monica! Tra l’altro avevo già intenzione di recuperare il libro, ora sono ancora più spinta a leggerlo 🙂
Una curiosità: il libro ha proprio i contorni di romanzo o è più un saggio romanzato come ne “Il Manoscritto” di Stephen Greenblatt?
Grazie!