Un romanzo russo: Emmanuel Carrère scrittore di intrecci

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“Mi dico: è questa la storia, ma non ne sono convinto. Né che sia questa né tantomeno che sia una storia. Ho voluto raccontare due anni della mia vita, Kotel’nič, mio nonno, la lingua russa e Sophie, nella speranza di riuscire a catturare qualcosa che mi sfugge e mi tormenta. Ma ancora oggi questo qualcosa mi sfugge e mi tormenta”.

Emmanuèle Carrère è uno scrittore, regista e sceneggiatore francese di origini georgiane, molto noto nel panorama culturale contemporaneo d’oltralpe. Nel corso della sua carriera cinema e romanzo si intrecciano, così come si mescolano finzione, autobiografia e cronaca storica.

La storia della pubblicazione di Carrère in Italia non è tra le più lineari: fino al 2011 è Einaudi che traduce i suoi testi, in particolare con La vita come un romanzo russo per la collana Coralli nel 2009 e Vite che non sono la mia per Supercoralli nel 2011. I due romanzi erano usciti in lingua originale per P.O.L. – nel 2007 e nel 2009, rispettivamente – riscuotendo da subito una grande fortuna tra i lettori francesi e vincendo, come nel caso di D’autres vies que la mienne, anche alcuni premi; a tale successo in patria, però, non sembra aver fatto eco la ricezione in Italia. Il successo in Italia arriva solo qualche anno dopo: nel 2012 esce Limonov, pubblicato da Adelphi per la collana Fabula. Il libro, che racconta la biografia romanzata di Edouard Limonov – scrittore e politico russo, fondatore dell’ormai bandito Partito Nazional Bolscevico -, sorprende per le molte e complesse sfaccettature del protagonista e della sua vita, oltre che per la grande delicatezza con cui Carrère intreccia la riflessione sulla storia del protagonista con la propria, in sottofondo a tutto il romanzo. Adelphi, in seguito, decide di ritradurre e ripubblicare le opere precedenti dell’autore, tra cui proprio Un romanzo russo, sempre per la collana Fabula, nel 2018.

Questo percorso editoriale a ritroso nella storia delle pubblicazioni di Carrère, non necessariamente pianificato, si rivela in realtà molto interessante: l’autore era partito, nel 2007, dal racconto problematico della sua vita e dall’affrontarne i nodi familiari con Un roman russe, per poi dedicarsi a “d’autres vies que la mienne”, ed arrivare infine a un tentativo di fusione delle due necessità con Limonov. Per il lettore italiano questo percorso si snoda all’inverso, permettendoci forse di guardare a Un romanzo russo con occhi consapevoli della sovrapposizione tra personale e storico che Limonov rappresenta e che, all’epoca di Un roman russe, Carrère stava ancora esplorando.

Un Romanzo russo è un testo autobiografico, in cui Carrère racconta, in parallelo, il suo rapporto intimo con la compagna, la sua relazione con la Russia – che affronta partendo per girare un documentario nella fredda e sperduta Kotel’nič– e la reticenza della madre sui segreti del nonno.

La copertina del romanzo di Carrère edito da Einaudi nel 2019

In realtà queste vicende di parallelo non hanno proprio nulla, ma anzi si toccano e si scontrano in molti punti del racconto: quella che all’inizio sembra una prosa che alterna tre storie diverse, unite solo dall’essere vissute nello stesso periodo, si rivela, man mano che il romanzo avanza, un sottile gioco di incastri, in cui la Russia fa capire l’amore, le incomprensioni sentimentali fanno ritornare in Russia e il fallimento del rapporto con la compagna fa affrontare, a nudo, la famiglia. Questo romanzo è “russo” perché è intorno alla Russia, intorno a Kotel’ničche ruotano tutti i nodi dolorosi di Carrère: il bisogno di indagare le proprie origini, l’incertezza d’amare che aumenta con la lontananza, la necessità di raccontare, artisticamente, il proprio legame con questa terra e la sua lingua. La Russia, e il viaggio a Kotel’nič, si rivelano per l’autore la spinta necessaria per affrontare i propri demoni: il rifiuto della madre di parlare del passato della famiglia, che crea in Carrère un doloroso vuoto d’identità dal cui fondo riemergono continuamente i sospetti e gli indizi su quel nonno georgiano immigrato in Francia, collaborazionista e misteriosamente scomparso. È grazie a Kotel’nič che finalmente lo scrittore ha il coraggio di unire i tasselli che già da tempo aveva di fronte a sé, e farne un libro: Un roman russe, dedicato alla madre.

Il processo di indagine e di introspezione che Carrère ci racconta è lento, doloroso e onesto, costellato di indecisioni, di strade sbagliate e di vicoli ciechi. Il punto di vista da cui il narratore racconta è, perciò, altrettanto onesto e nebbioso: la voce che arriva al lettore parla in maniera intima, schietta, senza censurare nulla, dai picchi di rabbia ai desideri sessuali. Proprio per questa qualità particolare della lingua di Carrère – viva, intima e cruda – è interessante osservare il lavoro di traduzione con cui prima Einaudi e poi Adelphi hanno cerato di restituire, per il pubblico italiano, tutte le sfumature di una prosa allo stesso tempo tagliente e nebulosa.

Il lavoro fatto da Lorenza Di Lella e Maria Laura Vanorio nel tradurre Un romanzo russo per l’edizione Adelphi uscita nel 2018 è estremamente interessante: nel romanzo si ritrova quella sensazione di intimità a tratti complice e a tratti conflittuale che caratterizza l’esperienza della lettura del testo originale e che ne fa un fatto letterario davvero esaltante. Il lettore, strattonato tra momenti in cui Carrère confida liberamente la rabbia, l’erotismo o la fragilità emotiva e altri in cui tace delle parti della storia ed è reticente nel rivelare i suoi pensieri, rimane in un limbo di incertezza e di frustrazione che rispecchia il momento biografico di stasi nebbiosa di cui lo scrittore racconta con questo romanzo.

La copertina della nuova edizione di “Un romanzo russo”, pubblicato da Adelphi nel 2018

Alla base delle scelte traduttive di quest’edizione si riconosce il desiderio di fedeltà a quella voce diretta, familiare e senza peli sulla lingua che in Un roman russe era la nota distintiva del punto di vista di Carrère. E così che, per esempio, se nel testo originale, dopo l’arrivo a Kotel’nič, il narratore osserva che “on est dans le trou”, in Un romanzo russo leggiamo “siamo in culo al mondo”.

Il romanzo di Adelphi ha trovato soluzioni efficaci a un problema complesso come quello di una lingua informale, intrisa di riferimenti non a uno ma a due mondi culturali così diversi come possono esserlo Parigi e Kotel’nič. L’effetto della prosa di Carrère, pungente e penetrante, ma che scuote e risveglia – come il freddo russo – si ritrova meò romanzo, che ci accompagna (e un po’ strattona) in un viaggio storico, emotivo e familiare di grande profondità.

“Le train roule, c’est la nuit, je fais l’amour”, “Il treno corre, è notte, faccio l’amore”.

 

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