Un raggio di sole che entra dalla finestra alle 6 del mattino e ti colpisce dritto in faccia quanto tu vorresti ancora dormire. Così iniziano i miei sei mesi di vita moscovita: con una sveglia anticipata non richiesta, in cui di poetico non c’è proprio nulla. È la fine di agosto, sono arrivata in Russia da meno di 12 ore e già mi trovo ad avere a che fare con la prima delle grandi differenze tra le case italiane e quelle russe: qui non esistono imposte alle finestre, solo tende. “A cosa ti servono le imposte? Perché vuoi chiuderti dentro in questo modo? Tanto tra un po’ arriverà l’inverno e del buio certamente non sentirai la mancanza”. Certo, però nel frattempo è ancora estate, la mia finestra è esposta a oriente e le scarne tende (oltretutto bianche) non bastano certo a tenere fuori il sole mattutino e a garantirmi un po’ di sonno. L’assenza delle imposte, scoprirò in seguito, crea inaspettatamente problemi anche ai russi o, almeno, a una parte di essi: i traduttori. Come ci fa notare in università Ol’ga Aleksandrovna – professoressa di traduzione ed essa stessa traduttrice dall’italiano al russo – imposta è una parola intraducibile in russo, perché qualcosa di simile qui esiste solo in alcune case di campagna (più per tenere dentro in caldo e proteggere i vetri che per tenere fuori la luce) e dunque il traduttore deve costantemente fare i conti con il fatto che “voi italiani le avete esterne e rigide, noi solo interne e molli”. La mia padrona di casa però aveva ragione: con il passare del tempo quello della mancanza delle imposte non pare più un problema grave ma, anzi, i raggi di sole mattutino – ormai, a partire dal mese di ottobre, divenuti in effetti sempre più scialbi – diventano un piccolo lusso apprezzato e addirittura ricercato. Soprattutto a dicembre, quando il sole sorge tardi e tramonta poco dopo le 15, ed è così strano pensare che un tempo ci si lamentava della troppa luce.
Altra grande differenza con cui l’italiano arrivato per la prima volta a Mosca deve fare i conti: la grandezza delle strade e degli edifici. Posso assicurare che trovarsi davanti a una strada a sei/sette corsie in pieno centro città provoca qualche momento di sconcerto in noi italiani, abituati alle nostre viuzze strette e tortuose. Per evitare di bloccare tutto il traffico con semafori ogni volta che un pedone deve attraversare una di queste specie di autostrade, i russi hanno pensato bene di creare un fitto sistema di sottopassaggi sotto i maggiori incroci o arterie cittadine, così che chi, ad esempio, arrivasse da Bol’shaya Nikitskaya ulitsa e volesse andare a prendere la metro alla fermata Barrikadnaya o Krasnopresnenskaya, potrebbe agilmente attraversare la Sadovaya-Kudrinskaya ulitsa senza rischiare di essere (ripetutamente) investito e senza rallentare il frenetico traffico della città. Perché, si sa, “Mosca non crede alle lacrime”: se decidi di vivere qui, devi essere in grado di stare al passo con i ritmi di una città che non perdona e non aspetta nessuno.
E se il traffico di Mosca vi sembra infernale (tranquilli, non è un’impressione, lo è davvero) ma fa troppo freddo o le distanze sono troppo grandi per spostarsi a piedi, ecco che vi viene in aiuto la gemma della città: la metropolitana. Senza nulla togliere, chiaramente, alla bellezza delle chiese del Cremlino, della Piazza Rossa o del panorama di cui si gode dal ponte sospeso di Park Zarjad’e, ma – detto sinceramente – questo un visitatore italiano se lo aspetta anche; dopotutto, veniamo dal Paese con il più alto numero di siti patrimonio UNESCO e alla bellezza di chiese, palazzi, parchi e viali siamo abituati.
Ma alla metropolitana no. Per chi ha passato anni della propria vita a fare da pendolare tra Molino Dorino, Conciliazione e Cadorna, l’idea che la metropolitana possa essere qualcosa di più di un semplice mezzo di trasporto ma possa diventare una vera opera d’arte provoca qualche giramento di testa (almeno tanto quanto la temperatura tropicale a cui vi viene tenuto il riscaldamento).
In tanti hanno già parlato delle stazioni più suggestive della metropolitana di Mosca – più volte definita “la più bella del mondo” – e in rete si possono trovare moltissime descrizioni della storia e delle peculiarità di ciascuna; in questa sede io invece mi limiterò a proporre la mia “top 3” (che in realtà è una “top 4”), maturata e ragionata in mesi di pendolarismo.
Al primo posto vanno sicuramente, a pari merito, quelle che sono ormai diventate le mie stazioni preferite: Arbatskaya (mi raccomando, quella sulla linea blu, non l’omonima sulla linea azzurra), che ho avuto la fortuna di poter chiamare “la mia fermata sotto casa” e che fin dal primo giorno si è guadagnata un pezzetto del mio cuore con la sua candida ricchezza di stucchi e marmi; insieme a lei, Mayakovskaya (e su questa scelta potrebbe aver influito l’amore per porto per il poeta a cui questa stazione è dedicata), così bella nella sua semplicità e nei suoi spazi aperti.
Il secondo posto va a Novoslobodskaya, forse meno appariscente di altre stazioni ma a dir poco “lenitiva”, con la sua luce soffusa e le sue vetrate un po’ liberty che offrono una sensazione di sollievo dopo tutti gli stucchi e i marmi delle altre stazioni. Anche qui, non posso che sentirmi estremamente fortunata per aver avuto la possibilità di passarci quasi tutti i giorni due volte al giorno, dal momento che si tratta della fermata proprio accanto alla mia università. Per la terza classificata sono stata a lungo indecisa tra Komsomolskaya (quella sulla linea circolare, non sulla rossa) e Taganskaya. La prima, sicuramente, è stata una di quelle che mi ha colpito di più al primo sguardo (e, in effetti, sarebbe strano il contrario, visto che a una prima occhiata pare più un palazzo reale che una stazione della metropolitana), ma alla fine è proprio una di quelle stazioni che ti provocano quell’effetto “overdose”: troppi stucchi, troppi mosaici, troppo giallo, troppo. Taganskaya, invece, sui toni del bianco e dell’azzurro e con i dettagli in ceramica, magari colpisce meno al primo sguardo ma sicuramente offre uno spettacolo più composto e delicato, e per questo si merita di salire sul podio.
Quante città al mondo vengono definite “una città di contrasti”? Molte, a tal punto che ormai questa frase non fa quasi più alcun effetto. Mosca però lo è davvero, e in questo rappresenta perfettamente su scala ridotta i grandi contrasti che definiscono la grande terra russa. Un italiano recentemente trasferitosi a Mosca ha affermato che spostarsi in Russia è come spostarsi, anche solo nel giro di un paio di centinaia di chilometri, dal centro di Londra alle steppe della Mongolia, tanto è il divario culturale, sociale ed economico che esiste tra diverse zone. La capitale forse in questo è un po’ meno estrema, ma stupisce comunque per essere una città in cui si può davvero trovare di tutto, per tutte le tasche e tutti i livelli di legalità. Mosca si è recentemente guadagnata il primato di “città con il più alto numero di miliardari al mondo” – e a vedere i grattacieli di Moskva City, i magazzini GUM o le auto che girano per il centro non si fa certo fatica a crederlo. È però anche una città di gopniki di periferia, di operai tajiki appesi alle grondaie da riparare in modo precario e contrario a qualsiasi norma di sicurezza sul lavoro, di babushki che è ancora possibile veder vendere cetrioli sott’aceto ai bordi delle strade o nei sottopassaggi.
Mosca non crede alle lacrime – recita un film cult sovietico – come una mamma che ti sgrida e ti obbliga a impegnarti ma, in fondo, lo fa solo perché ti vuole bene e vuole farti diventare grande e forte.
Un pensiero su “Mosca non crede alle lacrime (e alle imposte)”
Complimenti ho apprezzato leggere il tuo brano, soprattutto per l’attenzione che hai dato alla metropolitana. Non vedo l’ora di poter andare a Mosca a mia volta quasi solo per quella!