“Fitting people with books is about as difficult as fitting them with shoes”
Editrice, libraia, lettrice, ferma sostenitrice dei giovani scrittori modernisti: Miss Sylvia Beach è una delle figure essenziali del panorama letterario parigino dell’inizio del XX secolo. Nata negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, Sylvia Beach si trasferì poi in Francia, dove si interessò allo studio della letteratura francese contemporanea. Sebbene alla fine della Prima guerra mondiale il suo sogno fosse quello di aprire “una libreria francese a New York”, ciò che poi si realizzerà sarà invece “una libreria americana a Parigi”: in quegli anni, la capitale francese – dove la vita era poco cara e la censura anglofona lontana – era infatti l’epicentro del fermento letterario.
È grazie a un’altra donna e libraia fuori dal comune che Sylvia si convinse, nel 1919, ad aprire “Shakespeare and Company” a Parigi: Adrienne Monnier. Grazie a Adrienne, Sylvia aprì il suo negozio sulla rive gauche della Senna, nel celeberrimo quartiere latino. Approdò, dopo un primissimo locale defilato, al numero 12 di Rue de l’Odéon, proprio accanto all’amica, che aveva bottega al numero 7. Negli anni che seguirono, Rue de l’Odéon diventò uno dei punti di riferimento della vita letteraria parigina, con un continuo va-et-vient di intellettuali e di giovani aspiranti scrittori appena sbarcati dall’America. Tra loro, un certo, importantissimo, expatrié irlandese – James Joyce – diede perfino “12 Rue de l’Odéon” come indirizzo a cui inviare tutta la sua posta, tanto era il tempo che ci passava.
Shakespeare and Company di Sylvia Beach è un memoir, pubblicato per la prima volta nel 1959, che racconta, in modo semplice e intimo, che cos’era la vita negli anni Venti a Parigi e che cos’era la vita da Shakespeare and Co. Racconta il fermento, la vitalità e la freschezza letteraria di quegli anni tra le due guerre, in cui tutti si ritrovavano à Paris. Il libro è uscito in italiano per Neri Pozza nel 2018, in una bellissima edizione dalla cui copertina Miss Beach e Joyce ci osservano, fermi sullo stipite della porta della libreria. Sylvia Beach in questo libro sembra parlarci a tu per tu, in modo schietto e umile, raccontandoci tutti i piccoli aneddoti della sua notevole vita. La sua voce è affascinante, mentre ci parla guardando al passato con affetto, gratitudine e un po’ di nostalgia. Oltre allo stile, il contenuto non è da meno: si tratta della quotidianità della vita di grandi artisti, che ci viene mostrata sotto una luce nuova e curiosa. C’è per esempio Hemingway, che quando arrivò a Parigi era un “giovanotto” sconosciuto – “alto, abbronzato, con un paio di baffetti” – che entrò da Shakespeare and Company e semplicemente si presentò. C’è Gertrude Stein, che accoglieva i giovani frequentatori della libreria americana nei suoi famosi salotti, dove per regola le mogli degli scrittori non potevano partecipare, ma le amanti sì. C’è Ezra Pound, che apparentemente indossava sempre una camicia alla Robespierre, insieme a F. Scott Fitzgerald – “occhi azzurri e folle imprevidenza” – che autografò una copia de Il Grande Gatsby per la libreria disegnandovi sopra Sylvia con una coda da sirena.
C’è poi uno dei protagonisti costanti di Shakespeare and Co, la cui storia è inscindibile da quella di Sylvia e della libreria: James Joyce. L’epopea – e il termine non può che essere adatto – della pubblicazione dell’Ulisse, che fece di Sylvia l’editore di Joyce, attraversa tutto il memoir. Il sodalizio tra i due, fatto di ammirazione reciproca, di sacrifici e di grande affetto, ha permesso all’Ulisse di venire alla luce per la prima volta (oltre che di essere poi contrabbandato in America, infilato nelle braghe di qualche amico di Miss Beach che correva qua e là tra Canada e Stati Uniti). L’immagine di Joyce che emerge dal libro è affascinante e anche divertente: si parla di un artista che combatte la cecità per continuare a lavorare, di un amico fedele, uno scrittore dalla pessima grafia e un uomo appassionato, che coi suoi colpi di testa dava senz’altro molto da fare. Del resto Sylvia scrive che quando le fu offerto un cucciolo disse che non poteva tenere un cane, un James Joyce e una libreria.
Shakespeare and Company è un libro che ci trasporta in pieno nell’atmosfera parigina degli anni Venti e che ci fa respirare la cultura degli expatriés americani. Oltre ai curiosi spaccati sulla vita quotidiana di quelli che oggi sono nell’Olimpo della letteratura, il libro è avvincente e commovente perché ci trasmette l’aria che aveva la rive gauche in quegli anni; ci racconta di quella solidarietà tra artisti spesso in difficoltà che ha reso il quartiere latino un luogo leggendario.
E una volta letto il libro si può, ancora oggi, cercare nel quartier i segni di quell’atmosfera. Si può ammirare, al secondo piano della nuova “Shakespeare & Co.”, una parte della collezione di libri di Sylvia Beach, che prestava con generosità ai giovani artisti. Si può scovare, in Rue Cardinal-Lemoine, la casa di Valéry Larbaud, che non esitò a offrire a Joyce e famiglia quando ebbero bisogno di un posto dove stare, e dove Joyce terminò l’Ulisse. Si può poi, poco lontano, cercare la casa di Hemingway, sulla cui facciata è riportata una frase di Festa Mobile, che ben riassume lo spirito di Shakespeare and Company: “Così era la Parigi della nostra gioventù, quando eravamo molto poveri e molto felici”.