Spade, autostop e crisantemi

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Libri e Giappone: un binomio non nuovo su queste pagine, ma che comunque non rischia certo di essere esaurito tanto velocemente. Dopo un viaggio nel Paese del Sol Levante attraverso i luoghi evocati da alcuni dei suoi principali autori, questa volta torniamo nella stessa terra con uno sguardo diverso.

La prospettiva di oggi è quella del rovescio della medaglia: non romanzi di autori giapponesi, ma libri (che romanzi non lo sono nemmeno) sul Giappone scritti da occidentali. Tre testi nati da ispirazioni e in periodi molto diversi ma che hanno un denominatore comune: il tentativo dello sguardo occidentale di afferrare e provare a spiegare lo spirito di quel lontano e misterioso arcipelago.

All these contradictions, however, are the wrap and woof of books on Japan. They are true. Both the sword and the chrysanthemum are a part of the picture. The Japanese are, to the highest degree, both aggressive and unaggressive, both militaristic and aesthetic, submissive and resentful of being pushed around […]. They are terribly concerned about what people will think of their behavior, and they are also overcome by guilt when other people know nothing of their misstep.”

Al lettore poco attento The chrysanthemum and the sword, scritto e pubblicato nella seconda metà degli anni Quaranta dall’antropologa Ruth Benedict, apparirebbe certamente non come il testo più aggiornato sull’argomento. Eppure, la preziosità di questo saggio deriva proprio dal periodo in cui venne scritto – la fine della seconda guerra mondiale – e dal fatto che l’autrice fosse una studiosa americana che decise di dedicarsi alla ricerca e scrivere di quello che fino a pochissimo tempo prima era stato il nemico giurato del suo Paese. Il crisantemo e la spada nasce proprio dal desiderio di capire meglio questo nemico che era stato sconfitto, così da poterlo conoscere e, perché no, persino rispettare.

Il testo è suddiviso in diversi capitoli, ognuno dedicato a un aspetto specifico della cultura giapponese: dal comportamento da tenere in guerra al complesso sistema di “debiti” e obblighi sociali, fino alla complicata gerarchia sociale e alla sua evoluzione attraverso i secoli.

Il libro di Ruth Benedict, per quanto poi raggiunto e superato da testi successivi, rimane ancora oggi una pietra miliare nella storia dello sguardo che l’Occidente ha rivolto al Giappone.

I giapponesi non dimenticano mai il mondo che esiste là fuori, come un banco di nebbia, oltre le sponde dell’arcipelago. È la loro ossessione, la loro nevrosi, la loro fantasia. Se già gli occidentali hanno un atteggiamento ambivalente verso il Giappone, a maggior ragione è vero l’inverso. Per i giapponesi non siamo una schiera compatta: siamo i conquistatori, i barbari, i superiori, gli inferiori, la proiezione dei loro sogni, le vite che loro non hanno vissuto, siamo icone, personaggi buffi, portatori di idee e arti grandiose, uomini più alti di loro, più chiassosi, più veloci, meno raffinati, più sofisticati”.

Un altro intramontabile classico tra i libri che parlano del Giappone, questa volta sul versante delle esperienze di viaggio: Autostop con Buddha è il racconto in prima persona del viaggio dell’autore lungo tutto il Paese, da sud a nord, seguendo la fioritura degli alberi di ciliegio attraverso le quattro isole principali dell’arcipelago e qualche isolotto minore.

Un connubio piacevolissimo di esperienze pratiche del viaggio (ciò che quotidianamente succedeva all’autore, anche negli aspetti più prosaici e divertenti) e riflessioni di carattere generale, tra cui spiccano soprattutto quelle che riguardano l’incontro/scontro tra Giappone e Occidente: lo sguardo di Ferguson è costantemente quello dello straniero, il gaijin, che, per quanti anni abbia già vissuto nel Paese del Sol Levante, ancora sente non di non essere riuscito a rompere quel velo che lo separa – lui, straniero – dai giapponesi.

È la sensazione profonda, inquietante, di aver camminato sull’acqua per una settimana e, peggio ancora, di dover continuare a farlo, un’acqua scusa e setosa, lucida come il laghetto che ho visto in un parco, un’acqua abbastanza forte da reggermi e abbastanza opaca per impedirmi di vedere che cosa ci sia veramente sotto”.

Questo velo di opacità che in parte lascia passare lo sguardo del visitatore ma, in fondo, non si lascia mai davvero sollevare, è un’immagine che rappresenta anche l’esperienza dell’olandese Cees Nooteboom, autore della raccolta di reportage pubblicata in Italia da Iperborea con il titolo di Cerchi infiniti. Assiduo visitatore del Paese del Sol Levante nel corso di vari decenni, Nooteboom mette bene in luce nei suoi testi i sentimenti contraddittori che animano l’occidentale che visita il Giappone; su tutti domina la sensazione die essere profondamente rispettato dai giapponesi ma allo stesso tempo irrimediabilmente escluso e lasciato da parte proprio in quanto gaijin, straniero.

Un altro fondamentale spunto di riflessione è rappresentato dalla “malattia letteraria” di chi, come l’autore, arriva in Giappone immaginandoselo con caratteristiche prettamente libresche e artistiche (la letteratura del periodo Heian o le celeberrime stampe ukiyo-e), salvo poi essere costretto a rendersi conto che il Giappone reale va ben oltre questo e non può ridursi a un concentrato di suggestioni ricavate dai libri.

Il che scredita anche chi, come chi ha scritto di questo articolo, cerca di proporre una selezione di libri che aiutino a capire meglio il Giappone. State tranquilli, cari lettori: il morale della favola è che si è davanti a qualcosa che non si riuscirà mai davvero a capire.

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