Fresco di Oscar questo Joker, interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix, può raccontarci molto in un oscuro romanzo di formazione che vede un comico fallito solitario trasformarsi in un feroce assassino. In questo articolo percorreremo la storia di Arthur cercando di tracciare un profilo clinico della sua personalità e l’evoluzione tragica che essa vive durante la pellicola.
Penso che la premessa essenziale per avvicinarci sia, visionata la pellicola, non considerare la struttura della narrazione – che vede il nostro protagonista continuamente vessato e massacrato dal mondo che lo circonda e dai suoi abitanti feroci, con le profonde polarità che caratterizzano il film (gentile/ orribile, ricco/ povero, cattivo/buono, innocente/colpevole) – la svista di un regista votato alla semplificazione della realtà e ad una sua banalizzazione. Piuttosto come la scelta sapiente di un uomo che dietro la cinepresa non sta girando un documentario, ma che ci sta mostrando la realtà di una metropoli negli occhi del suo protagonista. E’ inevitabile quindi tenere sempre in mente che ciò che noi vediamo risulta “sporcato” dal filtro della malattia mentale di Arthur: non possiamo mai fidarci del tutto di ciò che ci racconta, un avvertimento che ci viene lanciato più volte durante il film, con il riferimento al ricovero in psichiatria o con la fantasia che lo vede protagonista del suo show preferito a fianco del suo padre simbolico Murray – sostituto immaginario di un padre biologico assente, sconosciuto, forse Thomas Wayne o forse nessuno. Il regista inoltre ci mostra anche come Arthur costruisca un elaborato delirio riguardo ad una relazione con la vicina di condominio che ha spiato di nascosto e ha intravisto timidamente passare in ascensore.
Vorrei che potessimo entrare nella storia di Arthur dal finale del film. Arthur è diventato Joker: sembrano passati anni dalla rivolta dei pagliacci e sembra sia stato arrestato e rinchiuso all’Arkham Asylum. Joker ripercorre le sue origini e tra memoria e delirio noi incontriamo Arthur. Chi è Arthur Fleck? Volgendoci al passato del nostro protagonista, incontriamo un bambino maltrattato e traumatizzato, la cui origine risiede fin nel principio nel dolore e nella confusione: figlio della domestica di casa Wayne Penny Fleck, che sostiene di aver avuto il figlio con Thomas Wayne, il quale nega ogni tipo di rapporto intimo con la donna. I referti psichiatrici sembrano sostenere l’ipotesi del candidato sindaco, sebbene il dubbio in noi resti, lo stesso dubbio che condurrà Arthur un passo più vicino al punto di rottura. Siamo certi però delle torture subite da Arthur dal compagno della madre in infanzia: le sue botte provocheranno in Arthur lesioni neurologiche alla base della risata compulsiva scatenata da ogni minima emozione o tensione.
Penny, madre single abbandonata con problemi che gli archivi di reparto sbrigano come: “psicosi con disturbo narcisistico di personalità” proietta tutta la sua disperazione e frustrazione sul piccolo Arthur, che diventa per lei l’ultimo legame con la vita e per questo lo investe di una missione: “Portare gioia e risate nel mondo”. La madre trasforma e cela il trauma testimoniato dalla risata del figlio in una qualità di Arthur: “Lui è sempre felice”. Così il piccolo cresce negli occhi di una madre che lo vede come il suo piccolo Charlie Chaplin, incapace di provare rabbia, di vivere la propria aggressività, incapace di aprirsi al mondo, rinchiuso nell’abbraccio stretto di una mamma persa nei suoi ricordi (deliri?) d’amore, ossessionata da Thomas Wayne.
E’ un Arthur di mezza età quello che Gotham city costringe ad affrontare la propria oscurità. Un Arthur che è rimasto bambino e che nella sua innocenza impacciata di adulto isolato e reietto coltiva ancora il sogno della madre di diventare un grande comico e di curare il mondo con una risata! Dopo essere stato licenziato dal lavoro Arthur sta tornando a casa in metro quando è aggredito da tre brokers che, prima offendono con volgari avances una ragazza, e poi si sfogano su di lui dopo aver deriso la risata mossa dalla tensione. E’ inutile scomodare Freud per connettere simbolicamente i tre ragazzi ricchi e maleducati e l’impotenza che Arthur prova verso la società in cui vive, impersonata nella sua ipocrisia da Thomas Wayne. Arthur spara al primo aggressore per difendersi ma è Joker invece che insegue l’ultimo sopravvissuto e lo uccide, che fa giustizia e sfoga un odio sociale e privato che l’uomo si portava dentro da anni.
La scena nel bagno dopo il triplice omicidio è magistrale: Arthur nello specchio con il trucco sbavato di un pagliaccio non si riconosce. Intravede un uomo nuovo, un Joker in crisalide che danza. I movimenti lenti ricordano quelli delle arti marziali e del Tai Chi, quasi come se Arthur si riconoscesse bello e fiero, in armonia con l’universo dopo che per la prima volta ha concesso a sé stesso di reagire, di invertire il senso di marcia. Terrorizzato e affascinato dalla violenza, questo bambino intrappolato in un corpo adulto riscopre una mancata adolescenza, in estremo ritardo. E’ infatti attraverso questo primo atto che Arthur si concede di sognare di baciare la sua vicina di casa con foga e coraggio, di frequentarla (almeno nel suo delirio) ed è dopo questo atto estremo che l’umanità, che prima per lui era vista o solo come predatrice o come spettatrice annoiata e distante, diviene un nuovo pubblico: quasi alleata mentre indossa la maschera del clown. E’ mentre accede alla propria aggressività e scopre sé stesso che Arthur, come sappiamo, viene a sapere per caso di essere il figlio di Thomas Wayne. Questa tragica rivelazione innesca un viaggio alla scoperta delle proprie origini che spalancherà le tende del palcoscenico al Joker.
In questa sorta di Edipo metropolitano, Arthur prima ricerca conforto in Thomas Wayne, ma da cui è respinto con violenza ed offeso. Al manicomio di Gotham, quando Arthur scopre l’origine della sua risata e la presunta verità sul suo passato inscritto nella disperazione e nella bugia, nell’uomo abbandonato leggiamo il frantumarsi di ogni speranza di amore e salvezza. Arthur come Edipo cerca la verità sulla sua origine e in essa trova la propria rovina. L’impossibilità di sapere con certezza se sua madre sia solo una povera pazza che lo ha cresciuto nella violenza o una vittima a sua volta, se suo padre sia Thomas Wayne o un uomo sconosciuto o irraggiungibile, spingono Arthur ad abbandonare la via della ricerca della verità per abbracciare la strada dell’oscurità e del sangue. Come in un antico rito di iniziazione Arthur per rinascere uccide la madre, ormai nella sua mente impossibile da assolvere: andato anche ultimo legame stretto rimasto con il mondo progetta il proprio suicidio in diretta. Fleck vuole rendere la sua morte arte e fare esplodere come una stella le sue cervella nel salotto di Murray, simbolico padre e fonte di ispirazione che ha scelto di umiliarlo mandando in diretta un video in cui, nel tentativo di esibirsi in un numero comico, Arthur si perde nella sua risata cronica ricevendo a suo malgrado la derisione pubblica e non un sincero coinvolgimento dei presenti. Il cinico Murray coglie l’occasione per invitare Fleck allo show, come fenomeno da barraccone. Arthur si vuole sparare davanti al suo idolo caduto per dare alla sua morte un valore superiore alla sua vita. Vediamo il Joker prendere volto nelle smorfie doloranti di Arthur, colorargli la lingua di bianco, entrargli dentro e rendere la vendetta un atto brutale e allo stesso tempo estetico e vitale, come nella scena dell’omicidio del vecchio compagno di lavoro. Poco dopo il clown risparmia il suo amico affetto da nanismo che con lui è sempre stato gentile, perché sensibile alla sofferenza d’essere diverso. Arthur è quindi anche capace, aprendo quella porta per far liberare l’amico, di essere per l’altro ciò che lui disperatamente stava cercando e non ha trovato; prima di diventare il demone sorridente che, in abito rosso sgargiante, troveremo al Murray show.
Da Murray Joker si prepara alla morte in diretta ed appare carico e fresco, danza gioioso perché ha raggiunto il suo sogno e allo stesso tempo non ha più nessuno che possa davvero comprenderlo e nulla per restare sulla terra. E il comico che ha perso tutto sceglie d’improvviso di scaricare la pistola non verso di sé ma verso chi rappresenta quella società che lo ha prima ignorato e lasciato crescere nell’oscurità, che lo ha poi umiliato e deriso e ora lo applaude e lo sfrutta. Tra le lacrime Arthur tenta disperatamente di urlare al mondo che voleva solo che qualcuno si accorgesse che era vivo, voleva solo essere ricordato, e voleva urlare che un malato di mente indigente e calpestato da una società che lo ignora nel migliore dei casi se ne va in silenzio nella sua topaia ma altre volte no: a volte finisce in diretta e si prende la sua vendetta.
L’uccisione di Murray è un atto di separazione, Arthur abbraccia il Joker nella morte del suo padre simbolico mentre la città lo elegge ad eroe e si unisce al caos e alla rivolta, quasi come un coro tragico diviene cassa di risonanza del palco e del suo eroe. Arthur si innalza tra la folla, sopra un’auto della polizia distrutta, scena che testimonia il sovvertimento di un ordine sociale che nell’acuirsi delle sue contraddizioni ha divorato sé stesso. Ma non è un carismatico leader che domina le folle, non è un megafono del popolo, in quel momento per la prima volta nella sua vita Arthur/ joker si può sentire amato, ha trovato finalmente un pubblico: una risposta da una folla mascherata, a lui simile all’apparenza, che gli conferma: “Tu esisti e sei protagonista della tua storia”
Il sorriso di sangue del Joker nasconde la solitudine di Arthur e la trasformazione è completata. In conclusione torniamo all’enigmatico finale: il film che abbiamo visto sembra essere stato girato dentro la testa di Arthur, mescolando memoria e desiderio, sogno e realtà. Arthur ripensa alla sua storia e ride mentre That’s life di Sinatra riempie i suoi pensieri. Nella disperazione più nera ha trovato sé stesso e ha deciso di non farsi fuori ma di uccidere chi lo minacciava e chi trovava terribile. Tra divorare ed essere divorato ha scelto di divorare: una possibilità è che Joker rida perché ha capito a distanza di anni di aver provocato con la rivolta dei clown la morte dei genitori di Bruce Wayne e quindi di aver indirettamente creato lui Batman, sua nemesi.
La mia ipotesi preferita è che Joker stia semplicemente ridendo ripensando alla sua storia che da tragedia si è fatta commedia, ripensando a come Arthur Fleck sia diventato il criminale che oggi è. La psicologa chiede perché il paziente rida e si sente rispondere che sta pensando ad una barzelletta; incuriosita, chiede allora se Arthur vuole raccontargliela ma egli è lapidario e non ha più bisogno di un pubblico che rida con lui: “Non la capiresti…”
Joker ha rinunciato al desiderio e alla speranza di essere capito, di essere ascoltato. La sua vita è una barzelletta nera che può ascoltare solo lui, raccontata nella stanza sbarrata della sua mente: egli sembra essere diventato un’unica cosa con la psicosi e allo stesso tempo i appare lucido, più saggio e disilluso. Arthur ha accolto il suo destino. Il bambino ferito ha trovato uno spazio di felicità sebbene delirante e violenta, lasciando entrare il Joker, ma il prezzo è stato alto: perdere la sua umanità e la speranza di ogni possibile comprensione.