Pagine tra il Calmo Mattino e il Sol Levante

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Una categoria speciale di lettori è quella a cui appartengono coloro che amano abbinare le proprie letture ai viaggi, nella convinzione che la scoperta di un luogo, magari esotico, non sia completa senza un’incursione anche tra le pagine degli autori che vi hanno vissuto o vi hanno ambientato le proprie opere. Anche io faccio felicemente parte di questa categoria e alla vigilia della partenza per un viaggio di quaranta giorni tra Corea del Sud e Giappone ho ovviamente incluso nelle mie letture alcuni romanzi di scrittori provenienti, rispettivamente, dal Paese del Calmo Mattino e dal Paese del Sol Levante. Questi testi sono andati ad aggiungersi ai già numerosi letti negli anni passati tanto che, una volta tornata dal viaggio, il compito di proporre questa esigua selezione si è rivelato un’impresa più difficile del capire il funzionamento di una delle futuristiche toilette giapponesi o dello spiegare a una ajumma coreana che il pollo lo preferiresti non piccante.

Uno dei più celebri autori giapponesi – nonché una delle figure più controverse – del secolo scorso, Yukio Mishima non è certo sconosciuto al lettore italiano, anche grazie alla presenza delle sue opere nel catalogo Feltrinelli. Il padiglione d’oro, in particolare, viene ritenuto uno dei testi più significativi del Novecento giapponese e definito, per la forza dell’introspezione psicologica nel senso di colpa e punizione del protagonista, una versione giapponese del dostoevskiano Delitto e castigo. L’ispirazione per questo romanzo del 1956 venne a Mishima da una vicenda reale: l’incendio appiccato nel 1950 al Kinkaku-ji – il “padiglione d’oro” a cui si fa riferimento nel titolo, celeberrimo tempio zen di Kyoto – da parte di Hayashi Yoken, giovane novizio monaco ventiduenne.

Ritenuto il capolavoro di Mishima (fino agli anni Ottanta rimase il libro più venduto in Giappone), Il padiglione d’oro è un libro imprescindibile per chiunque voglia accostarsi alla grande letteratura giapponese moderna e, magari, prepararsi a una visita al vero Kinkaku-ji (ricostruito) durante un viaggio a Kyoto. Una piccola nota a margine è però necessaria: la grande popolarità del luogo (forse anche grazie al romanzo), fa sì che il tempio sia quasi sempre sovraffollato di visitatori che, a dirla tutta, fanno un po’ perdere l’atmosfera di misticismo zen e contemplazione della bellezza che pervade invece le pagine di Mishima.

Rimanendo nella grande narrativa novecentesca ma spostandoci a Tokyo, ci si può ritrovare a passeggiare per Asakusa: un tempo principale area dei divertimenti della capitale e poi vittima di gravi danni durante la Seconda guerra mondiale, è oggi considerato uno dei quartieri che meglio trasmettono l’atmosfera della “vecchia” Tokyo. Proprio in questa “Montmartre giapponese” venne ambientato La banda di Asakusa, primo romanzo (1929-1930) di Yasunari Kawabata, grazie al quale – tra prostitute, attori e teppistelli di strada – il lettore può ancora oggi e anche alle nostre longitudini immergersi nell’atmosfera decadente di Asakusa (o “asaksà”, come viene spesso chiamato il quartiere) negli anni Venti-Trenta.

Come per il Kinkaku-ji di Kyoto, anche per visitare il celebre tempio Sensoji di occorre armarsi di pazienza e farsi strada tra la folla di turisti e scolaresche; se però ci si addentra nelle viuzze che lo circondano, è ancora possibile ritrovare in parte l’atmosfera descritta da Kawabata – o almeno provare a immaginarla: in una megalopoli, Tokyo, che può arrivare a stordire con le sue insegne al neon, le stazione sovraffollate di salary men e una tecnologia imperante, Asakusa sa ancora affascinare con i suoi piccoli negozietti e ristorantini sparpagliati lungo le sue viuzze.

Classe 1979 e già vincitrice di diversi importanti premi, Sayaka Murata è certamente una delle penne emergenti della letteratura giapponese, almeno in Italia: se infatti in patria il suo primo romanzo (Jyunyū) è stato pubblicato nel 2003, il pubblico italiano ha dovuto attendere il 2016 perché il suo decimo libro – La ragazza del convenience store – venisse pubblicato da Edizioni E/O, rendendo nota questa autrice anche nel nostro paese.

Chiunque sia stato in Giappone coglierà immediatamente la tipologia di luogo a cui il titolo allude: i konbini – “convenience store” -, i minimarket che vendono un po’ di tutto (dagli onigiri al salmone agli spazzolini da denti, dai manga alle mascherine antismog) e che si trovano praticamente a ogni angolo delle città giapponesi. Un luogo che turisti e visitatori imparano ad amare tanto quanto gli autoctoni – perché, davvero, qualsiasi cosa possa improvvisamente servirti sarà probabilmente disponibile sugli scaffali del konbini a due passi di distanza, pronto a venire in tuo aiuto.

Proprio in uno di questi luoghi è ambientato il piacevolissimo romanzo di Sayaka Murata che, attraverso la vicenda della protagonista – la “ragazza del convenience store”, appunto – aiuta a riflettere su quanto possa essere difficile essere “diversi” rispetto a ciò che la società riterrebbe “normale” – specialmente una conformista come quella giapponese.

Il lettore italiano che volesse cimentarsi con qualche romanzo coreano prima di atterrare nel Paese del Calmo Mattino potrebbe trovarsi un po’ in difficoltà, dal momento che le opere tradotte sono in numero decisamente minore rispetto a quelle provenienti da altri paesi asiatici (Giappone e Cina innanzitutto) – e anche rispetto a quelle che meriterebbero di essere conosciute e apprezzate. Ciononostante, negli ultimi anni sempre più editori decidono, anche in Italia, di tradurre e pubblicare autori coreani, forse per cavalcare l’onda della hallyu: la “Korean wave” che ha visto negli ultimi tempi sempre più persone in tutto il mondo appassionarsi alla musica, alla moda, al film e, perché no, alla lingua e alla letteratura coreana. Nel novero di queste case editrici compare anche Sellerio che, nel 2016, sceglie di pubblicare il thriller a sfondo storico La guardia, il poeta e l’investigatore di Jung-myung Lee, oggi uno degli autori più apprezzati in Corea del Sud.

La vicenda raccontata nel romanzo – ambientato nel 1944 in un campo di prigionia giapponese durante l’occupazione della Corea – oltre a tenere con il fiato sospeso grazie al misterioso omicidio da cui la storia prende avvio, permette al lettore di iniziare a familiarizzare con uno spinoso tema che ancora oggi condiziona la vita di molte persone in questa parte di mondo: le tesissime relazioni diplomatiche tra Corea del Sud e Giappone e le loro radici nel passato.

Se deciderete di visitare la Corea in questo momento storico, infatti, non potrete fare a meno di notare i cartelloni “Boycott Japan” appesi per le strade, o i ristoranti che ne espongono una versione più piccola per comunicare con orgoglio ai potenziali avventori che lì di prodotti giapponesi non se ne troveranno. Come in tutte le circostanze di questo genere, la situazione è in realtà molto complessa e impossibile da riassumere in poche righe, e il viaggiatore accorto deve essere pronto a dedicare del tempo a informarsi e riflettere su quanto andrà a scoprire a questo proposito.

Il romanzo di Jung-myung Lee offre comunque un meraviglioso punto di partenza per la propria indagine, anche perché al centro della vicenda c’è sempre lei: la letteratura.

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