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Pubblicato il Pubblicato in Letteratura, Racconti

È mattina tardi. È tardi perché oggi non lavoro, John il nuovo stagista baffuto mi sostituisce. È mattina. È una bella mattinata perché il cielo è sereno.

Ho il treno alle 16, oggi torno a Leicester per passare del tempo con la mia famiglia, non li vedo da Natale e allora ho pensato che fosse opportuno tornare. Ma è ancora presto per prepararmi, forse è meglio prendere una boccata d’aria. Si, vado verso la scogliera, ci sarà gente in spiaggia…

Vivo in Cornovaglia da un po’ di anni e devo ammettere che da quando l’ho scoperta vorrei forse sciogliermi qui per tutta la vita. Quando cinque anni fa mi hanno trasferito a Kea per lavoro la prima cosa che ho pensato è stata “Oliver ti sparerai”. É diversa da Leicester, mi è meno famigliare. Ed è anche più noiosa di Manchester, dove i miei unici ricordi si fermano ai progetti di grafica e al bong. Kea è forse diversa proporzionalmente a quanto sono io cambiato da quei periodi della mia vita. Qui non è divertente, è di più, è suggestivo. Mi fa pensare, mi spezza il fiato, come se tutto mi facesse riaddormentare. Forse a trentaquattro anni non si dovrebbe vivere qui: è un suicidio consapevole, ma io non ne sento il peso.

Torno poco al nord: anche se i miei ritorni si limitano a brevi spazi temporali, quando sono la mi manca qua. E quando sono qua, il mare, la costa e le onde ogni tanto mi fanno pensare ai miei venti anni. Mi chiedo spesso quanto vorrei avere di nuovo quell’età, quanto varrebbe la pena essere di nuovo giovane.

Io credo fermamente che la gioventù la vogliano tutti, anche i giovani stessi che prima la disprezzano ma poi capiscono quanto siano potenti. Camminando sono arrivato al Mylor Bridge. Penso. Penso a Zelda.

Quando Zelda piangeva poi si asciugava le lacrime e una prima fossetta veniva fuori. Quando Zelda dormiva e si svegliava nel mezzo della notte con l’angoscia poi si rimetteva a dormire, sollevata pensando a un futuro che era del tutto suo. Quando Zelda odiava tutti, passata l’arrabbiatura poi pensava che non ne valesse la pena. Quando Zelda si deprimeva poi si ricordava di essere giovane, e da questo pensiero ne usciva euforica.
L’euforia è forse la gioventù stessa e lei aveva deciso di esserlo sempre.

Era il 2005, io e Zelda eravamo giovani. La gioventù credo non cambi mai: è giovane sempre allo stesso modo. Anche se io e lei fossimo giovani ora saremmo gli stessi. Non dipende dal momento, dalle epoche, da noi.
Ci si droga, ci si rispetta poco, poi ci si pente e si ritorna indietro, ma tornare indietro ci fa sentire che non fluttuiamo mai in avanti. E’ allora che si cambia idea di nuovo e si lascia il passato per un qualcosa di più grande.
Ho amato Zelda Wern per tre anni. Mi ero innamorato del suo nome, nessuno si chiamava così, era un nome vecchio ma allo stesso tempo futuristico ed ho odiato i suoi genitori per averla chiamata con un nome così affascinante.
Non so se l’ha mai saputo, a volte credo fermamente di si e quando ci penso vorrei poter odiarla fino a quando finirò di sciogliermi qui in Cornovaglia.

Lei ora è per me un bel ricordo, anche se non ho ancora capito come le sofferenze dopo tanto tempo si trasformino in pensieri leggeri. Non sono sicuro però che reggerei, rivedendola di nuovo. Non perché è Zelda Wern, anzi direi che delle persone dopo un po’ non ci ricordiamo quasi più niente, se non quelle piccole cose che gli abbiamo fatto fare solo nella nostra immaginazione. Rivederla credo che implicherebbe risvegliare tutti quei tre anni di gioventù che sembrano non appartenermi più.

Si, è vero! Prima ho ammesso di pensarci ogni tanto, ma dal pensare al rivivere ci sono milioni di ponti che io preferirei non prendere.
È tardi, è meglio se torno verso casa.

“Oliver, non dimenticarti che domani ceniamo da Basil!”.
È Tom che corre. Non lo fermo gli faccio un cenno di conferma con la mano, non voglio interrompere la sua corsa mattutina. Scende sempre dalla campagna, giù per Hamspted Road in cui passano circa dieci macchine nel giro di trenta minuti -anzi direi quaranta- arriva sulla costa, fa il giro del pontile e poi di nuovo indietro, dritto verso casa.
A volte penso che Kea sia talmente tanto noiosa da lasciarmi conoscere abitudini di persone che non mi hanno mai detto di avere delle abitudini. Ma lo trovo divertente.Tom è molto diverso da me, è una di quelle persone che per loro sfortuna sono da sempre e saranno per sempre giovani. Se ci fossimo incontrati ai tempi di Zelda non credo che saremo diventati amici. A quell’età ero solito circondarmi di persone simili a me perché era più semplice così. Poi ho scoperto che era sbagliato e che la semplicità stava nel non ricercarci negli altri perché vederci specchiati aumenta i lunghi muri della consapevolezza nei quali rimaniamo intrappolati.

Meglio correre, rischio di perdere il treno senza un buon motivo.

Eccola, mi aspetta come da sempre appoggiata alla nostra macchina gialla, ora è troppo vecchia per poter togliermi il peso della valigia. “Mamma ciao”.

Subito un ritorno a una serenità più profonda, sono sveglio da tutti i sogni. Inspiegabilmente più profonda.

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