Intervista a Valeria Montaldi, dal giornalismo al romanzo storico

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Valeria Montaldi

Quella con Valeria Montaldi, giornalista e scrittrice milanese con alle spalle sette romanzi editi da Rizzoli e Piemme e diversi premi letterari, è stata una chiacchierata ricca e stimolante. Abbiamo parlato della sua carriera, di scrittura e di editoria, di storia e di giornalismo. Dopo vent’anni passati da pubblicista nel 2001 è approdata alla narrativa con Il mercante di Lana e da allora si è sempre dedicata al romanzo storico, o meglio: al romanzo, e basta. Perché alla mia prima domanda, interrogata sulla sua scelta di esordire con un genere come quello del romanzo storico, Valeria Montaldi ha risposto così:
-Non mi sento una scrittrice di romanzi storici. Mi sento un’autrice che ha scelto di ambientare i propri romanzi in tempi passati, ma che potrebbero benissimo essere scritti sulla vita di oggi. Questo perché penso che il passato sia uguale al presente, a cominciare dal punto di vista umano: stesse le dinamiche, le convenzioni e le emozioni dei singoli; così come gli intrighi, la depravazione e l’aggressività. Un signore di qualche anno più vecchio di me (ammicca) la pensava così e ha fatto lo stesso lavoro. Ha scritto un romanzo ambientato nel ‘600, periodo per il quale lui -un uomo dell’800- ha fatto una raffinatissima ricerca storica. Cosa c’è dietro questa operazione? Ai suoi lettori voleva dire: Vedete? Ciò che accadde due secoli fa lo troviamo anche adesso.
Sei partita dall’alto, hai citato il romanzo storico per eccellenza. Ed è un genere che ha avuto un’ottima fortuna negli ultimi anni, ma nella nostra coscienza non è comunque inserito nel pantheon della letteratura contemporanea. Forse perché in libreria troviamo anche dei libri che di storico hanno solo la pretesa di copertina?
-Ci sono romanzi molto buoni, e poi una marea di schifezze. Se sono ben documenti, ed è una cosa non facile (‘lo dico a uno che sta studiando filologia’ mi dice ridendo), e ben scritti allora sono libri buoni. E poi ci sono libri didascalici, autoreferenziali: non possiamo scrivere una storia avvolgendoci nel nostro sapere scientifico, presumendo che il lettore abbia voglia di subirsi il nostro prezioso sapere. Deve essere un romanzo. Facendo un esempio: io inserisco nel libro dei riferimenti storici, ricavati da una precisa e lunga documentazione, ma devono essere fatti cadere con il contagocce lungo la narrazione. Ci sono delle tecniche precise per farlo, per far vivere al lettore la Storia, facendogliela passare per la storia che tu scrittore stai stendendo pagina dopo pagina. Il difetto di molti romanzi storici, oltre alla cattiva documentazione, è questa pretesa autoreferenziale di essere didascalici, come a dimostrare Guarda che io ho studiato. E non serve.

Il suo ultimo libro:   La randagia, edito da Piemme.

Valeria Montaldi non ha paura di dire quello che pensa, senza mezzi termini, quindi mi faccio coraggio e inizio con le domande insidiose. Lei non batte ciglio.

Ci sbilanciamo sull’editoria contemporanea?
-E’ un momento difficile. Ti parlo da lettrice, lascia stare la scrittrice. Adesso l’editore grande è un industriale, e deve far quadrare i bilanci. Deve quindi pubblicare cose molto buone e anche cose mediocri, altrimenti non ci sta dentro. Questo porta al fatto che l’editore grosso abbia nel catalogo delle piccole chicche, e poi delle cose orrende. In Italia, come dicono, ci sono sempre meno lettori. Avendo pubblicato anche all’estero mi sono fatta un’idea: in Francia ho venduto, per alcuni libri, più che in Italia. I tedeschi anche leggono più di noi. Il motivo non lo sappiamo, ne noi ne gli editori. Tuttavia un segnale di ripresa c’è, e sono i giovani. Ho conosciuto tanti ragazzi e tante ragazze che divorano libri, anche prima dei quattordici anni. Sono fiduciosa. Perché tutto sta li, nei lettori: adesso ci sono tanti scrittori, e gli editori mettono i soldi, facendo una ‘scommessa’. Ma tanta gente non legge più. A cosa porta materialmente? Per fare solo un esempio: gli anticipi, che fino a qualche tempo fa erano anche generosi, adesso sono ridotti all’osso perché la scommessa è più rischiosa. E l’editore cerca di essere cauto.
Come mi mantengo io scrittore fin quando non scrivo il libro quindi?
-Ah ma lo scrittore non si può mantenere, a meno che non sia un monumento: quelli ‘normali’ o sono professori o liberi professionisti. Non mi sento di dirti che adesso si vive di scrittura, diciamocelo chiaro. Io ho iniziato poi in tarda età, avevo 52 anni. Avevo già anni di lavoro alle spalle nel 2001.
Il giornalismo secondo te fa ancora eccezione?
-Assolutamente no. Adesso i giornalisti sono tutti assunti come collaboratori esterni o free lance, i giornali continuano a stringere. Ed ecco uno dei motivi per cui ho smesso di fare la giornalista, anche se ogni tanto collaboro ancora con qualche testata come opinionista. Adoravo il mio lavoro di prima, ma piano piano le cose sono cambiate. Prima il direttore mi mandava da personaggi importanti, da persone che conosci e che ti lasciano il segno. Poi l’interesse si è spostato su altro e ho deciso di lasciare. Ma a me il giornalismo ha insegnato tanto: ha insegnato a scrivere innanzitutto, e poi ha insegnato a vedere le persone dietro alla maschera pubblica. E questo ti serve per scrivere romanzi.
E come sei arrivata a scrivere un libro?
-Volevo mettermi in gioco, volevo vedere se ne ero capace. Scrivere un romanzo è impegnativo, non è un articolo o una dispensa. E’ una cosa molto più difficile, e un romanzo che richiede una documentazione approfondita è stata una bella sfida.

Il mercante di lana, uscito nel 2001, è il primo romanzo di Valeria Montaldi

Il tuo ultimo romanzo, La randagia, deve essere stata ancora un’ennesima sfida immagino: è diverso dal lavoro fatto fin’ora.
-E’ stato un rimettersi in gioco. Non è il mio solito ‘romanzo storico’, ma un giro di boa: l’idea di scrivere due storie, due gialli, uno nel passato e uno nel presente, mi è venuta perché volevo cambiare, uscire dalla mia aria sicura. Ho sempre scritto del passato per parlare del presente, in questo mio ultimo lavoro l’ho messo in pagina: Di qua c’è il passato e di qua il presente, vedete  che è uguale?
Qualche consiglio ai giovani scrittori?
-Consigli non posso darne, posso dire quello che penso. Se uno vuole scrivere deve avere l’esigenza di farlo, la voglia. Deve scrivere qualcosa che interessa a lui, così interessa anche a chi lo legge. Un’idea buona, e che piaccia. E, ribadisco, bisogna scrivere bene. Spassionatamente: investite in un dizionario dei sinonimi, io ne ho tre. I libri devono essere scritti bene, devono vere una scrittura pulita, asciutta, non ampollosa. Bisogna essere ‘umili’, essere coscienti dei propri mezzi e dei propri limiti. Non puoi partire convinto di essere Italo Calvino, devi partire con l’idea di essere Valeria Montaldi e poi si vedrà. E allo stesso tempo devi difenderti: dai colleghi scrittori (bisogna dirlo); dagli editori (a cui cerchi di scucire un anticipo più alto); dagli editor (bei litigi); e dagli uffici stampa. Per questo è cosa buona cercare di avere un agente, che ha il compito preciso (visto che lo paghi) di difenderti dove tu non arrivi. E ce ne sono tanti in Italia di agenti bravi.
Sul mondo dei blogger?
-Fino al mio ultimo romanzo il mio rapporto con i blogger è stato quasi assente, ho iniziato ad averci a che fare veramente dopo la pubblicazione de La randagia. Penso che siano preziosi, visto anche che sui giornali -salvo quelle poche interviste e finestrelle- di libri si scrive sempre meno. Il blog risarcisce questa mancanza. La gente in rete si fa un’idea, dell’autore e del romanzo che gli interessa. I blogger e le blogger sono fondamentali, come lo sono i social: soprattutto se uno ci lavora. Ha i suoi lati negativi ovviamente, bisogna usare prudenza. Mi sono iscritta a Facebook proprio per lavoro, anche se faccio cadere qualcosa di personale una tantum: per far vedere che dietro la scrittrice c’è Valeria. Voglio farmi conoscere anche come persona, e non è sempre facile.

Ma ci è riuscita.

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