Teatro Elfo Puccini marzo-aprile 2017: Road Movie

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Delicato e violento, poetico e volgare, sospeso tra le lacrime e le risate. In un aggettivo: semplicissimo, come le migliori creazioni sanno esserlo. Road Movie torna all’Elfo Puccini per il terzo anno consecutivo, in scena fino al 9 aprile. E torna a percorrere quella strada tra l’est e l’ovest degli Stati Uniti il protagonista e unico attore Angelo di Genio.
Reduce dal tutto esaurito delle passate stagioni e da una tournée che ha toccato le più diverse città del centro-nord, il teatro di Corso Buenos Aires torna a ospitare uno dei suoi spettacoli ormai diventati tradizione. Fresco, efficace e sincero come la prima volta. Sandro Mabellini dirige una messinscena asciuttissima, al limite dell’eremitico, del testo di Godfrey Hamilton: ed ecco nell’America degli anni Novanta, accanto al fantasma dell’Aids, Joel, trentenne, gay, solo, perseguitato dall’incubo dei genitori, arrabbiato con sé e il mondo, che un giorno incontra Scott, delicato, tenero, finalmente il suo uomo. Solo suo. È il momento del viaggio allora, di quella strada che dall’ovest all’est degli USA porterà Joel, in cinque giorni, a cercare di raggiungere il suo Scott. E la strada è il luogo degli incontri, delle confessioni, del confronto con la paura della malattia: l’auto sfreccia, il motore romba e mentre divora l’asfalto infrange paure e distanze, insicurezze e diversità. Arriverà in California, Joel, ci arriverà. E sull’oceano capirà che lì non finisce il suo viaggio: “Fidati del movimento” gli diceva Scott, e ancora “Parti, Joel, parti”. È partito, Joel, e il movimento non si fermerà, perché è vita, nonostante tutto.
Angelo di Genio è l’unico interprete in scena. Diplomato alla Paolo Grassi di Milano nel 2005, già vincitore di diversi premi ( basti pensare al Premio Mariangela Melato dello scorso anno), il giovane attore è l’anima dell’atto unico: lo spettatore respira al suo ritmo, lo segue nell’incessante movimento dei suoi passi, si emoziona con i suoi personaggi, ride con lui, piange con la sua voce. Angelo di Genio è Joel, il trentenne alla ricerca del suo diritto a esistere prima ancora che di un amore, ma è anche tutti gli altri. E con straordinaria semplicità il suo corpo ospita Scott, l’indimenticabile Diva del Lattice, la ragazza dei piercing, tutte le persone incontrate nel viaggio: molteplici voci e interpretazioni affiorano da quell’unico interprete, capace di reggere un ritmo frenetico senza calare mai, passando dal dialogo al monologo con disarmante bravura.
I toni si alternano, sono colori come il giallo dell’Arizona o il rosso degli incontri notturni nei vicoli, sono voci diverse, volumi, posizioni e dettagli, una camicia, una giacca, un foglio. Sono la violenza bestiale del sesso e la tenerezza dell’amore. Angelo di Genio attraversa tutte le sfumature e le fa vivere sulla pelle dello spettatore in sala. Ma i toni sono anche le musiche di Daniele Rotella, il violoncello e il pianoforte di Antony Kevin Montanari che con indiscreta presenza dialoga con il protagonista, lo commenta, lo accompagna per mano. In quella scena quasi vuota c’è tutto: una sedia, uno sgabello e gli strumenti musicali. E due luci di numero: il seguipersona che talvolta è luce, talvolta è luogo e personaggio, si allarga e si stringe, illumina i corpi o i dettagli, illumina o indaga con erotica spietatezza. E in questa semplicità siamo in casa, siamo al telefono, siamo in macchina, Arizona, Nevada, California, siamo su una casa galleggiante e infine, tra le lacrime, siamo sull’oceano. Alla fine del viaggio?
Abbiamo riso, abbiamo pianto. Abbiamo fatto entrambe le cose, abbiamo incontrato la morte. Non ci siamo fermati un secondo, come per nemmeno un secondo si ferma Joel, come non si ferma la messinscena: Angelo corre, poi corre la luce, corre l’archetto sulle corde del violoncello. “Fidati del movimento”.
E alla fine, a quell’urlo straziante “Voglio una cura!” con il respiro e il sudore di un Di Genio che si è concesso senza riserve, nel buio e nel silenzio si alza l’applauso del pubblico.

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