Nel mio deserto – Parte prima

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Parte prima

“Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive e non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta.” – Michel Foucault

Lungo la mia strada mi sono ritrovato a viaggiare per un’immensa distesa bianca, senza vegetazione, senza sassi di alcuna sorta: solo un immenso spazio bianco. All’inizio pensai di ritrovarmi nel bel mezzo di una valle innevata, una di quelle pacifiche valli che ho sempre sognato fin da bambino ma, purtroppo, non c’erano montagne, né alberi, né neve…solo un deserto.
Mi circondava e non sapevo come ci fossi finito. Semplicemente camminavo, vivevo la mia quotidianità, e all’improvviso, con la stessa rapidità con cui si battono le ciglia, mi ritrovai lì, solo, sperduto in mezzo ad un bel niente.
Dopo l’iniziale smarrimento che mi destabilizzò non poco, preso anche dalla curiosità per quella nuova situazione mai sperimentata prima, capii che l’unica cosa ch’io potessi fare fosse camminare. Niente di diverso da quello che ogni uomo è costretto a compiere nella sua quotidianità: camminare, ovvero vivere, adattandomi alla nuova condizione. Per me non era possibile evitarla, rimandarla magari, o al limite fermarmi per riposare, ma non per troppo tempo: bisogna vivere, vivere sempre, vivere comunque.
Ma come si può vivere così? Ero solo nel mio deserto, senza una guida, senza alcun punto di riferimento, senza nemmeno essere preparato ad affrontare quella situazione tanto sgradevole quanto inusuale.
Camminare mi era pressochè impossibile: ad ogni passo sprofondavo nel pallido terreno e crollavo a terra stremato. Solo grazie ad uno sforzo, quasi sovraumano, riuscivo puntualmente a rimettermi in piedi e riprendevo la mia marcia, barcollando, in attesa della prossima caduta.
Si tende a provare paura e timore per tutto quello che non si capisce o non si conosce: purtroppo, anche quando la natura di certe cose ci è chiara, tendiamo a temerle ancora di più. Perché la paura è motivata da quella stessa conoscenza di cui probabilmente avrebbe fatto volentieri a meno. Quel paesaggio, asettico e senza vita, mi spaventava come poche cose a questo mondo, anzi, in quel momento, il pallido deserto era il mio mondo e lo temevo anche più dell’altro – già di per sé spaventoso.
Dopo non molto tempo mi fu chiara la sua natura: mi ero perso tra una marea di fogli bianchi. Quella carta, candida come la neve, mi avvolgeva completamente senza lasciarmi via d’uscita, ovunque io andassi. La nuova consapevolezza sulla mia innaturale prigione non mi tranquillizzò affatto…
Quella vastità senza colore corrodeva, poco a poco, la mia mente, lasciandomi sempre più confuso e allucinato. Dopo qualche tempo capii che la vera ragione del mio intimo disagio non era unicamente legata all’assurdità della situazione o al fatto che il deserto fosse formato da una marea di fogli, ciò che più mi dava noia era che fossero tutti bianchi, senza nessuna parola scritta sopra, senza nessun contenuto, senza che nulla vi fosse comunicato. Il nulla.
Ancora peggio: non ero minimamente capace di riempire quel vuoto, semplicemente perché non avevo alcuno strumento per farlo, sia prettamente fisico e materiale, quale penna o matita, che mentale, un’idea, un messaggio da comunicare…niente. Avevo perfino smarrito ciò che più di tutto è caro a chi, come me, scrive. Ero diventato bianco, come quei fogli e, di conseguenza, vuoto.
Camminai per molto tempo senza trovare una via d’uscita. Il tempo passava inesorabilmente ma quel deserto non passava mai. Preso dalla disperazione di un momento mi lasciai cadere a terra in lacrime: scendevano lentamente lungo il mio viso e bagnavano il suolo di carta sotto di me. Ma non restava alcuna traccia delle mie lacrime sopra quelle pagine bianche. Gridai con tutta la forza che avevo in corpo: la mia voce si disperse rapidamente per quella landa desolata. Purtroppo quel grido non ricevette alcuna risposta, seguì solo un assordante silenzio. Mai mi sentii più solo di allora.
Colto da un’irrefrenabile collera, battei i pugni su quella terra senza colore e senza vita, e la afferrai, e incominciai a strapparla, foglio dopo foglio, con una rabbia e una foga sempre crescente. Preso da questo impeto non mi accorsi subito di aver scavato una piccola buca. Lì ebbi un’illuminazione: più volte lungo la mia marcia avevo pensato che quel deserto sarebbe stato la mia tomba. Ecco che perse le speranze, resi la buca sufficientemente profonda per potermi contenere. Lì, rannicchiato su me stesso, decisi di restare fino alla fine dei miei giorni, perché non vedevo alcuna via d’uscita dal mio inferno.

 

 

 

 

Non me lo sarei mai aspettato.
Sono poche le cose di cui sono realmente certo, una di queste è che tutto è dato. La seconda, conseguenza della prima, è che le cose più belle sono quelle che non ti saresti mai aspettato. L’imprevisto dona alla vita umana un’energia straordinaria, è l’impulso che ci sprona ad alzarci dal letto la mattina e, allo stesso tempo, può farci ritrovare col culo per terra.
L’imprevisto mi ha salvato più volte, soprattutto da me stesso.

 

 

 

Probabilmente se avessi continuato a camminare l’avrei anche vista in lontananza. Io invece, avendo perso ogni speranza, decisi di scavarmi la fossa quando, in realtà, la mia salvezza era lì, davanti a me: solo non riuscivo ancora a vederla.
Mi tirò su dalla buca come solo un amico potrebbe fare, stringendomi la mano mi ridiede una forza e un vigore pari a quelli che avevo prima di entrare nel deserto. Ero ancora sperduto ma, stando insieme a lei, non l’avrei mai detto. Ingenuamente, mi convinsi che le cose si sarebbero aggiustate da sole, semplicemente perché non ero più solo, ma lei, a differenza mia, era solo di passaggio in quella landa desolata. Aveva fretta, non poteva restare nel mio deserto a lungo, il suo l’aspettava.
Posò il suo dito indice all’altezza del mio petto e fece una leggera pressione: sentii un forte calore che si irradiava, come un formicolio per tutto il corpo; giunto alla mia testa sentii una fitta lancinante al petto. Dove poco prima c’era il suo dito mi si aprì un piccolo buco, e da qui sgorgò qualche goccia di un liquido nero che, caduto a terra, macchiò quella maledetta carta bianca. Mi fece un grande sorriso e tirò fuori da quel piccolo buco sul mio petto una penna, una semplicissima biro nera.
Non mi accorsi subito della sua scomparsa, ma la cosa non mi preoccupò più di tanto: certo che sarei riuscito ad uscire dal deserto. Solo grazie a lei.
Sapevo bene cosa fare: avevo davanti a me un’immensa vastità di carta bianca che poteva essere riempita e io non desideravo altro.
Presi un foglio in mano e, con la penna, iniziai a scrivere…
Tre lettere, una di seguito all’altra, fu tutto quello che riuscì a sputare la mia penna

 

D I O

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