Wenn Gott der Tod ist, haben wir vielleich auch den Teufel ermordet?

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Si racconta di un giovane, ricco e annoiato, che desiderava incontrare il Diavolo. Non aveva famiglia, perché i suoi genitori morirono tragicamente quando lui aveva solo vent’anni. Nei primi anni dopo il lutto si rinchiuse come un eremita, tra la sua casa disabitata e la biblioteca del Seminario cittadino. Rincorse il Diavolo nelle opere dei grandi poeti del passato, dedicando tutto il suo tempo all’erudizione in materia. Era infatti dotato di grande acume, che meglio sarebbe potuto essere speso. Il bibliotecario era anch’egli un esperto di occultismo, essendo stato un grande esorcista, e lo aveva messo in guardia in merito alla sua ricerca, ma Filippo -questo era il nome del giovane- oramai era stato divorato dall’ossessione. Quando il bibliotecario si fece più insistente Filippo chiuse la propria casa e sparì all’estero, in Inghilterra dove era sicuro che avrebbe potuto trovare codici più utili alla sua ricerca.
Aveva trovato numerosi formulari, libri di stregoneria e magia nera, culti precristiani e antichi, ma nessuno faceva al caso suo: il suo desiderio infatti non era quello di evocare il male, ma di poterlo incontrare. Lesse avidamente Vincenzo di Bauvais, Guglielmo di Malsbury e Jacques de Vitry: ma in essi trovò solo racconti agiografici, miracoli di santi e della Vergine che accorrevano per salvare gli sventurati – o i fortunati- che si imbattevano nel demonio. Era una costante in tutti i racconti: il male incarnato appariva ai passanti, sempre in un momento di difficoltà, e prometteva loro aiuto in cambio di un giusto tributo. Così Filippo iniziò a cercare il pericolo, sperando che il diavolo fosse attirato dal suo bisogno di aiuto e si presentasse pronto per salvarlo. In più di un’occasione rischiò la vita, girando il mondo. Ma ogni volta il diavolo non accorreva: furono i pompieri a salvarlo dall’incendio all’hotel parigino, i militari delle forze speciali a scortarlo fuori dalle rovine assire in Medio Oriente e i medici a guarirlo dal morso di un ragno in Australia.
Più in fretta di quanto si aspettasse arrivarono i quarant’anni, e del diavolo non aveva trovato neanche la coda. Aveva studiato altre lingue, cercando sempre nuovo materiale per la sua ricerca. Parlò con capi religiosi e sacerdoti, con accademici e antropologi, persino con sciamani e quel che restava delle antiche tribù. Un giorno gli arrivò la notizia di un codice appena scoperto in Italia, in una piccola abbazia ad un’ora da Milano, che poteva racchiudere una storia nuova: un sacerdote pellegrino del settecento che, recandosi in Terra Santa, si era imbattuto più volte nel demonio e nei suoi sgherri prima di arrivare a Gerusalemme. Fu tra i primi a vedere il libro, malconcio in una rilegatura che non aveva retto allo scorrere del tempo ma con il testo comunque leggibile. La storia che interessava a Filippo era di poche pagine appena. Il pellegrino aveva fatto voto alla Madonna di giungere in città per celebrare la messa della sera, come parte di una penitenza che gli avrebbe evitato la dannazione eterna, ma il Diavolo teneva particolarmente all’anima del chierico e inviò prima due dei suoi fedelissimi per cercare di ritardarlo sulla strada. Per prima gli apparve una fanciulla che, simulando disperazione, cercò di muovere a pietà il chierico affinché la seguisse per benedire il padre morente. Ma il chierico non si fece ingannare e proseguì oltre. Il secondo spettro gli apparve sotto le sembianze della madre di lui, che lo pregava di non proseguire oltre visto che a Gerusalemme una terribile malattia presto sarebbe arrivata. Ma il chierico intuì l’inganno e proseguì. Gli apparve infine il Diavolo stesso, in forma di serpente del deserto. Lo accompagnò per la strada in silenzio. Il pellegrino dapprima si allarmò, ma quando si rese conto che nell’animale c’era un qualcosa di soprannaturale iniziò a recitare le litanie sperando di tenerlo lontano. La bestia lo accompagnò fino alle mura, e poi lo lasciò proseguire in città. Arrivato, alla sera celebrò la messa e per i mesi successivi si diede ad opere di carità nella regione, credendosi oramai al sicuro. Tuttavia quando fu il momento di rientrare in Europa, alle porte della città il serpente ancora lo aspettava. Lo riaccompagnò fino al mare, e senza farsi vedere riuscì ad imbarcarsi con lui. Il pellegrino ne fu turbato e cercò più volte di uccidere l’animale, ma questo si rivelava sempre lesto ad evitare i colpi. In mezzo al Mediterraneo il chierico impazzì e una notte mentre tutti dormivano si gettò in acqua. E il Diavolo ebbe così l’anima di un dannato, senza fare alcun ché.
Filippo si irritò parecchio, perché si era trovato dinanzi all’ennesima storia senza utilità, ma non era ancora pronto ad arrendersi. Qualche mese dopo si ritrovò a Basilea, per visionare altro materiale. Si trattava degli appunti di un vecchio professore luminare di filosofia, appena ritrovati nei meandri di un fondo donato e mai catalogato. Il luminare era stato un esperto di occultismo e misticismo, e aveva passato la sua vita a studiare i culti demoniaci che abbondavano in Europa. Filippo passò alcuni mesi nella biblioteca universitaria, leggendo gli innumerevoli taccuini che gli avevano messo a disposizione. Gli studenti, i bibliotecari e anche alcuni professori si incuriosirono sul suo lavoro, ma come sempre Filippo tenne per se la propria ricerca. Questa riservatezza non fece altro che aumentare la curiosità e anche i sospetti sullo studioso italiano che alla solita ora e al solito tavolo leggeva in religioso silenzio. Nessuno aveva idea di cosa cercasse negli appunti del defunto luminare che aveva albergato nei saloni dell’ateneo, e ai pochi che osavano avvicinarglisi anche solo per offrire un aiuto Filippo riservava solo poche e fredde parole. Così quando una sera, all’improvviso, egli si alzò dal tavolo da lavoro e, deposto i guanti bianchi e gli occhiali da lettura, si gettò dalla grande finestra della biblioteca nessuno seppe il perché. Un esperto fu incaricato di ispezionare il suo lavoro, controllando il taccuino in pelle marrone che si portava come un’ossessione sempre appresso e anche tutti gli appunti che stava consultando prima di suicidarsi. Stava leggendo lo Zarathustra di Nietzsche, in una delle prime edizioni su cui il luminare aveva annotato parecchie riflessioni e spunti. L’ultima nota, che Filippo aveva anche tradotto e ricopiato sul suo taccuino per poi cerchiarla e ricerchiarla, recitava: “Se Dio è morto, forse abbiamo ucciso anche il Diavolo?”

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