Salam, Europa!

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“Era da molto che i miei pensieri giravano attorno all’idea di conoscere meglio l’Europa, ma non mi aspettavo di farlo insieme allo scià e di vederla con i suoi occhi. Tra poco andrò con lui in luoghi dove non avrei potuto mettere piede neanche nella mia immaginazione. Luoghi che nessun europeo poteva visitare in quel modo.”

Poche righe che già fanno entrare nel cuore di questo libro: un viaggio, un carismatico sovrano persiano, un osservatore contemporaneo e l’impossibilità di distinguere fra realtà e immaginazione.
Uno scià alla corte d’Europa (Iperborea), l’ultimo libro dell’autore iraniano – rifugiato politico nei Paesi Bassi – Kader Abdollah, è infatti il racconto del lungo viaggio in Europa intrapreso dallo scià Nadir attorno alla metà dell’Ottocento, un viaggio per conoscere l’Occidente e per confrontarsi con un mondo profondamente diverso dal proprio.
La storia è basata su materiale autentico – i diari di alcuni sovrani persiani che effettivamente seguirono questo itinerario e che misero per iscritto le loro impressioni – ma senza avere come obiettivo la precisione e l’esattezza storica di un reportage dalla minuzia scientifica. Più che di un pedissequo e oggettivo resoconto di viaggio, infatti, questo romanzo assume i contorni sfumati della favola, come uno di quei sorprendenti racconti de Le mille e una notte che non a caso nacquero in Persia e ancora oggi sanno affascinare i lettori di tutto il mondo con le avventure dei propri protagonisti. Ecco il loro segreto: lasciare ambiguo il confine tra realtà e fantasia.
Il ruolo di moderna Shahrazād è in questo caso affidato dall’autore alla figura fittizia di Sayed Jamal, professore di origine iraniana presso l’Università di Amsterdam che, a distanza di circa centotrenta anni, narra le avventure dello scià – un suo conterraneo, dopotutto – sotto forma di hekayat.
Sì, perché definire questo libro un “romanzo” non è proprio esatto e non rende giustizia alla vera essenza del testo: è Sayed Jamal stesso nella cornice delle avventure dello scià a definire l’opera che si accinge a compilare con il termine persiano hekayat, una antica forma di narrazione orientale ben diversa dal romanzo occidentale.

Kader Abdolah

Il contatto fra Occidente e Oriente è dunque sicuramente il filo che tiene uniti i vari livelli del testo.
Innanzitutto, l’autore: Kader Abdolah, nato in Iran, dopo essere stato perseguitato dall’ultimo scià della dinastia Pahlavi e, dopo la Rivoluzione Islamica, dal regime dell’ayatollah Khomeini, è emigrato in Olanda, diventando in breve tempo uno degli autori più amati non solo nel suo Paese d’adozione, ma in tutta Europa. Basti pensare che il suo La casa della moschea – pubblicato in Italia sempre da Iperborea nel 2008 – è stato votato dagli olandesi come il secondo miglior libro mai scritto nella loro lingua L’autore è quindi in prima persona un individuo che accomuna in sé Oriente e Occidente, anche – e soprattutto – dal punto di vista culturale.
In secondo luogo, il narratore fittizio della storia: Sayed Jamal, anch’egli fuggito dalla natia Persia, si ritrova negli anni Duemila a essere professore in Olanda e a raccontare, attraverso una forma tipicamente orientale, le avventure di uno scià persiano in Europa.
Infine, lo scià stesso che, partito da Teheran, visita e osserva attentamente la Russia, la Germania, il Belgio, l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia di fine Ottocento, traendone impressioni e insegnamenti.

Un groviglio di terre, di viaggi e migrazioni che conducono tutte a un punto centrale: la riflessione su ciò che l’Europa e l’Oriente erano e sono oggi.
Il lettore europeo si trova a osservare il proprio continente in piena Rivoluzione Industriale attraverso gli occhi di un re persiano che, sovrano assoluto di un regno ancora arretrato e basato su princìpi in Occidente da tempo superati, giunge nell’Europa dell’elettricità, del telegrafo e del declino delle monarchie nazionali con una anacronistica carovana di servitori e un harem di mogli.
Sorridiamo divertiti davanti allo spaesamento provato dallo scià la prima volta in vita sua in cui sale su un treno, in cui vede un moderno gabinetto negli appartamenti della regina Vittoria, in cui sostituisce il farmaco fornitogli dai suoi fattucchieri e stregoni con un vero antidolorifico o in cui scopre sbigottito che in Europa i giornalisti possono fare satira sui sovrani senza che questo implichi per loro l’immediata condanna a morte. Un sorriso divertito che però porta con sé qualcosa di più profondo: il sempre utile straniamento provocato dall’osservare se stessi (o il proprio passato) dall’esterno, con gli occhi di un’altra persona.

Lo sguardo dello scià non è però l’unico attraverso cui il lettore può scoprire l’Europa: Sayed Jamal, a cui è affidato il compito di narrare la storia del sovrano, diventa egli stesso personaggio dando vita a ciò che avviene nella cornice del racconto. Jamal, che proprio come lo scià è di origine persiana, vive e lavora in Olanda in anni cruciali per la storia europea e per le relazioni tra Oriente e Occidente: sono i nostri anni, quelli dell’arrivo in massa di profughi siriani e della conseguente chiusura delle frontiere nazionali da parte di molti Paesi europei, quelli della paura del terrorismo islamico e del riemergere di movimenti nazionalisti, quelli in cui si torna a dare alle stampe il Mein Kampf e in cui qualsiasi cosa arrivi dal Medio Oriente viene guardata con sospetto.
Non è un caso allora che sia proprio davanti alle immagini della strage di Charlie Hebdo, degli episodi di discriminazione in Germania e Paesi Bassi, degli attacchi terroristici a Bruxelles e del cadavere del bambino siriano sulla spiaggia di Bodrum trasmesse in televisione che il professore decida di ripercorrere il viaggio in Europa di un uomo persiano; è proprio attraverso le sue ricerche che Jamal arriva a riflettere su ciò che sta accadendo oggi nel Vecchio Continente.

Al lettore non vengono quindi offerte solo le avventure del sovrano persiano, ma anche un disincantato e crudo spaccato dell’Europa di oggi e di quello che ne è stato del legame tra Occidente e Oriente.
Nel fare ciò, Kader Abdollah riesce magistralmente a evitare ogni presa di posizione paternalistica e ogni irreale e semplicistica divisione del mondo in “buoni” e “cattivi”, dipingendo piuttosto l’attualità in tutte le sue complesse sfaccettature e zone grigie.

Nessun trattato di geopolitica e nessun pamphlet d’accusa: quello di Kader Abdollah è un libro gradevolissimo che si finisce senza nemmeno quasi accorgersene; il fatto che possa rivelarsi una lettura di grande valore e di forte stimolo alla riflessione non esclude che essa sia anche piacevole. L’autore ci invita a metterci in ascolto di qualcuno che sta per raccontarci una storia, proprio come ne Le mille e una notte il re Shahriyār si mette in ascolto delle fiabe narrate da Shahrazād.
E a noi lettori non resta che assecondare una delle esigenze che hanno da sempre caratterizzato l’essere umano: il sentir raccontare delle belle storie.

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