Principi letterari

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L’educazione di un «giovin signore» all’alba del XX secolo era tradizionalmente rivolta a due sbocchi nella vita activa: o la carriera militare o la carriera diplomatica ed eventualmente poi politica. La sua conversazione era intessuta sulla conoscenza discreta della letteratura, utile per stemperare la tensione precedente una possibile crisi.
Una parallela scorsa a due maggiori di Vladimir Vladimirovič Nabokov (1899-1977) e Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) evidenzia quanto questi tratti rappresentino un’identità culturale unitaria dell’Europa di quel tempo.
Konstantin Dmitrievič Nabokov (1872-1927) era uno zio paterno dello scrittore, entomologo e scacchista. Tra le due Rivoluzioni del 1917 fu ministro plenipotenziario pro tempore a Londra. Sollevato dall’incarico, scelse come esilio la Norvegia, ma morì a Londra. Pubblicò le sue memorie nel 1921 a Stoccolma con il titolo Ispytanija diplomatika, che il nipote nelle proprie traduce con The Ordeal of a Diplomatic [Cimento di un diplomatico] ([2] p. 66; altre note in J.D. Smele, The Russian Revolution and Civil War:1917-1921. An Annotated Bibliography, London-New York, 2003, p. 30).
Vasilij Ivanovič Rukavišnikov (1872-1916) era uno zio materno. Pure lui diplomatico d’alto rango, già ambasciatore a Roma ove morì, era esperto di crittografia. Eccentrico quanto l’altro compassato ([2] p. 66), fu lui a lasciare in eredità allo scrittore la tenuta di Rožestveno (ivi, pp. 74-80).
Pietro Paolo Tomasi (1873-1962) era lo zio paterno dello scrittore siciliano di nascita, europeo per afflato, ma non per pratica. Seguì la carriera diplomatica, fu ambasciatore del regno d’Italia a Pietroburgo nel 1917-1918 e a Londra nel 1922-1927, quando venne costretto alle dimissioni. Si dedicò al suo incarico di senatore. Fu profondo esperto della diplomazia, della lingua russa e del mondo slavo.
«Homo sum, humani nihil a me alienum puto»: le parole di Terenzio ben si attagliano allo sguardo sia del diplomatico di lungo corso sia dello scrittore, profili in fondo non distanti, se si ricorda che la Poesia salva dal cinismo della Storia. Il principio della diplomazia e quello della letteratura possono dunque confluire nel caso in cui al centro si ponga la comune natura umana. L’habitus del diplomatico è il rapporto personale, l’attenta valutazione dell’altrui comportamento, la conoscenza profonda e sensibile della sua cultura di origine e provenienza, nonché la capacità di calarvisi, indagando le reticenze.
La prima espressione di un siffatto atteggiamento può essere rilevata nelle rispettive memorie, altra peculiarità dell’aristocratico, il quale ha attraversato il secolo e di quel cammino intende lasciare traccia. Parla, ricordo (1947) di Nabokov e i Ricordi d’infanzia (pubblicati postumi, qui utilizzata l’edizione critica del 1988) di Tomasi di Lampedusa si muovono dalla casa verso l’esterno, prima verso i membri della famiglia, poi verso personaggi esterni. Memorabile il cameo che riporta Tomasi di Lampedusa sull’incontro con l’Imperatrice Eugenia: una nuvola di veli neri che fluttua nei colori smaglianti dell’estate siciliana si china su una nuvola in calzoncini da paggetto (ci piace immaginare con grazioso consenso del Principaccio) sulla veranda con le tende arancioni rotonde di vento, affacciata sul mare di villa Florio a Favignana ([3] pp. 436-437).
Lo sguardo verso l’Imperatrice Eugenia, l’incanto perduto della tenuta di Vyra ([2] pp. 83-84) sono colmi di distanza familiare, quell’atmosfera intima e pure intrisa di solitaria, ridente osservazione che permea la loro personalissima idea della letteratura e mutatis mutandis s’incontra nelle loro controstorie della letteratura.
Composte a beneficio dei suoi studenti, le Lezioni di letteratura di Nabokov costituiscono una sorta di controstoria della letteratura. Esse non si fondano su teorie o poetiche, su principi dell’analisi critica letteraria che in quei decenni (dalla fine degli anni Quaranta alla fine dei Cinquanta, quando vennero tenute a Stanford e Wellesley) stavano stravolgendo il volto della ricezione nelle humanae litterae. Si fondano sul rapporto di imprinting tra l’autore e la materia che tratta. Il risultato di questo rapporto è il testo letterario offerto all’occhio del lettore. La lettura non si affida ad una tradizione interpretativa, quanto più emerge e si configura da riflessioni a mente libera e nella piena gioia della propria sensibilità. La struttura letteraria può dunque essere compresa come struttura della mente artistica umana, ovvero dotata della facoltà creativa, eccentrica alla realtà circostante.
Quest’animo s’incarna anche nelle lezioni di letteratura per un privatissimo circolo palermitano, il cui perno era il “mostro” ([5] p. XXV), gourmet di libri.
Compose per il divertimento e la sorpresa, da lui goduti in un angolo sornione, una controstoria della letteratura inglese e una della francese, che Francesco Orlando poi leggeva agli astanti, vieppiù rari, quanto più densa si faceva l’attività letteraria. I caratteri originali delle controstorie sono il rapporto diretto con il testo, un dialogo culturale serrato e senza pietà di colpi, diretti all’autore o velati ad uno dei partecipanti le serate. Letture a tutto tondo, ma prive di rifinitura, in cui si legge la tessera di una superficie compatta a distanza, esse svelano le anime di Tomasi di Lampedusa: il ri-lettore, il diplomatico in pectore con l’aneddoto piegato al suo volere (fondere William Temple con un suo successore all’ambasciata britannica all’Aja è un coup de théâtre che avrebbe risparmiato più di una trattativa internazionale, risolvendo la questione con un sorriso, [3] pp. 645 e 933-934), il narratore maturo, in cui ingegno, esperienza umana e lezione letteraria si coniugano.
Autori comuni ad entrambe le controstorie sono Jane Austen, Charles Dickens e James Joyce. Annoverati da entrambi quali creatori di mondi ([1] pp. 31-36) e campionari di umanità (ivi, p. 40, e [4] pp. 1116-1118), solo la Austen li fa divergere. Crea un mondo «ristretto, certamente […], ma che può, come estensione, gareggiare con il mondo di Marcel Proust» ([4] p. 1074). A differenza di quest’ultimo, l’attempata signorina inglese ha uno «spirito di osservazione acidulo e assolutamente spietato» (ivi, p. 1073), i personaggi sono ritratti «in modo spregiudicato sotto il costante velo delle buone maniere sue di scrittrice» (ivi, p. 1074). Il lettore avvertito qui sorride all’altalena del Principaccio tra la caratterizzazione della Austen e una sferzata all’ambiente in cui vive, ma ritiene anche un singolare contatto. Nabokov procede all’individuazione di quattro modi di presentare i personaggi (descrizione diretta, citazione diretta, discorsi riferiti e imitazione del modo di parlare dei personaggi, [1] pp. 43-44) e sottolinea in ciascun modo lo «spirito sottile», «[…] non è solo il contenuto della frase, sono il ritmo, la costruzione e l’intonazione a trasmettere le particolari caratteristiche del discorso» ([1] p. 54): è un animus. L’attenzione alla rilettura cui invita Tomasi di Lampedusa, in quanto «un attimo di distrazione può far trascurare una frase che ha un’importanza primaria: arte di sfumature, arte ambigua sotto l’apparente semplicità» ([4] p. 1074), in Nabokov si traduce con la «mossa del cavallo» (il corsivo non è mio, M.D.), con cui sintetizza gli scarti improvvisi nei sentimenti di un personaggio, oppure con la «fossetta speciale» (anche qui, il corsivo non è mio, M.D.), «ottenuta inserendo furtivamente in una frase, tra le componenti di una semplice esposizione un tocco di delicata ironia» ([1] p. 92). «La ragione c’è, e buona: la Austen è l’anti-melodramma» ([4] p. 1075), potrebbe benissimo concludere il Gattopardo. Compie un’operazione diversa Nabokov, che in apertura della lezione su Dickens confessa tutta la sua distanza dalla Austen: «Ho […] cercato di essere obiettivo, di accostarmi a lei […] tramite il prisma di quella cultura che i suoi giovani signori e le sue fanciulle avevano attinto alla fresca fonte del Settecento e del primissimo Ottocento» ([1] p. 99). La Austen crea un mondo, proietta il suo con toni originali nei suoi testi, ma non crea il mondo, come Joyce o Dickens ([4] pp. 1112-1113 e 1336-1338; [1] pp. 342-344).
Nel breve giro di pagine e nella lezione sulla Austen si colgono sia la distanza sia la affinità tra i due: da un canto il coltissimo saint-beuviano di ferro, dall’altro – seppur outsider – l’accademico di Cambridge, che scevera l’autore dalla persona.
I due principi hanno indossato l’habit a foglie d’acanto e in tale veste hanno attraversato la letteratura: soffermandosi al peso di ogni parola come un diplomatico in una trattativa, hanno valutato l’altrui capacità d’immedesimazione per individuare la propria. L’educazione al mondo ha fatto in modo che ne cogliessero le artificiose, e pertanto quanto mai spesso goffe, dissimulazioni e simulazioni, ove spicca la volgarità, e l’abbiano denunciato in controstorie della letteratura.

Bibliografia minima
Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura, a cura di Fredson Bowers, introduzione di John Updike, traduzione di Ettore Capriolo, Milano, Garzanti, 1992 [1].
Id., Parla, ricordo. Un’autobiografia rivisitata, a cura di Anna Raffetto, traduzione di Guido Ragni, Milano, Adelphi edizioni, 2010 [2].
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ricordi d’infanzia, in Opere, introduzione e premesse di Gioachino Lanza Tomasi, Milano, Mondadori, 20066, pp. 429-485 [3].
Id., Letteratura inglese, cit., passim [4].
Gioachino Lanza Tomasi, Introduzione, in Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Opere, cit., pp. XIII-LVIII [5].

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