Non fa ridere ne arrabbiare

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Quando incontri la morte ed hai vent’anni, non ci arrivi stanco, forse perché è il momento in cui stai vivendo di più o in cui hai deciso di farlo per davvero.
E così Nando a vent’anni lasciò questa terra prematuramente.
Era ancora giovane, ma una sera la sua strana sorte venne e lo prese per mano.
Nessuno di noi sa se Nando ci sia rimasto male o se ora se ne stia arrabbiato seduto su un tronco d’albero in mezzo al cielo. Ma se così fosse bisognerebbe che qualcuno dicesse a Nando che nessuno ci ha regalato questa terra promessa, e che non si può incriminare nessuno per avercela tolta.

La notte di maggio in cui Nando morì Antonella era dall’altra parte di Roma, stesa in un parco, e guardava le stesse stelle. Intanto pensava a suo padre, che sicuramente si trovava anche lui su quel tronco in mezzo al cielo, vicino a Nando.
Ogni tanto le capitava, cosa che non accade a tutti, di riflettere sulla sua giovane vita. Credeva di non essere abbastanza coraggiosa e che quella sua vita avesse perso il sapore di gelato che aveva pochi anni prima.
Giustificava la sua attitudine dicendosi “è che c’ho paura”.
Antonio, suo padre, le avrebbe detto di assaporare di più questo gelato alla vita; o chissà forse sarebbe stato un padre inutile.
Non lo sapeva, non poteva saperlo.
All’improvviso si ricordò di non essere sola, al suo fianco era sdraiato Carlo. Ma la vicinanza di una persona per Antonella non era mai valsa a scacciare la sua solitudine e quella sera nel momento in cui la luna diventò così luminosa da far male agli occhi lei decise di lasciarlo.
Non mi fai ride’, né arrabbia’” – gli disse.
A diciannove anni già non si spiegava come la gente si tenesse stretta le sue relazioni imperfette, quando lei invece aveva la sana idea di crearsene una perfetta.
È questa la realtà?” Se fosse stata questa per davvero, lei non ne aveva bisogno, ne cercava una meno reale e meno imperfetta.
A volte le capitava di sedersi di fianco a due innamorati in un bar e con invidia li guardava guardarsi in un tavolo ricco di felicità. Non si rendeva ancora conto che anche in un tavolo così ricco di amore un giorno le sedie si sarebbero mescolate o avrebbero raggiunto altri tavoli con spazi vuoti, poiché anche le vere storie d’amore finiscono, insieme alla felicità che le accompagna.
Ventiquattro ore dopo a scuola una voce scoccata da Carlo si aggirava sostenendo che Antonella Mariotti era una tipa decisamente strana.

La morte di suo padre Antonio era avvenuta dieci giorni dopo il suo settimo compleanno e in quel momento lei non aveva provato un dolore così insopportabile. Vedeva mamma piangere, si, ma fu quando entrò in quell’età in cui si è grandi nel pensiero ma non abbastanza nella statura che non seppe più come sopportarlo.
Fino ad allora era stata l’unica perdita che l’aveva fatta soffrire.
Un giorno morì Emanuela, la maestra: non scomparve realmente dalla mente di Antonella ma si sfocò solo, come il ricordo di un’infanzia che le sarebbe appartenuta sempre più a sfumature.
Un altro giorno ancora se ne andò a novantasette anni nonno Ezio e fu strano: al momento si pianse tanto ma poco dopo tutti si dimenticarono che c’era una vita in meno… forse perché non aveva più lo stesso valore di tutte le altre rimaste. Forse novantasette anni erano abbastanza, si pensava.
Fu diverso però il giorno in cui Nando morì. Antonella si trovava a casa dell’amica Margherita.
Quando Margherita le urlò “Corri mo’, c’è Nando Procaccini in tv”, Antonella corse senza sapere di chi si trattasse.
Fu un po’ strano constatare la presenza di Nando in televisione, c’era il suo volto al telegiornale, sì, ma il poveretto era già in fila per un posto sul tronco.

Illustrazione di Alice Benza

Tra i giovani di Roma c’è la curiosa speranza di non conoscersi tutti, forse per illudersi che in giro ci sia qualcuno di migliore. Lo stesso valeva per Antonella, ma Nando lei era sicura di averlo già visto. A una festa, al parchetto, in gita o alle elementari. Non aveva importanza.
Quella sera stessa le due amiche si stavano preparando per una delle solite festicciole ma Antonella si inabissò in pensieri contorti, tanto che Margherita disse alle amiche di ritenere il suo atteggiamento fastidioso.

A scuola per dei giorni degnò tutti della sua assenza, preferendo rifugiarsi in quelle giungle comunemente dette centri commerciali, in modo da ascoltarsi sempre meno.
Sdraiata sul letto a pancia in su, perché all’in giù aveva paura di soffocare, pensava.
“Cosa sarebbe stato se quella strana sorte un giorno avesse deciso di colpire lei?” –
Ora a soffocarla era il pensiero stesso.
Era convinta che se avesse avuto la sfortuna di vivere l’istante in cui si è certi di morire, poi quell’istante sarebbe passato così all’ improvviso da accorgersene appena.
E della paura neanche un ricordo.
Non la spaventava la sua morte, ma il pensiero della morte in generale.
Infondo le dispiaceva in particolare l’idea di non poter fantasticare più. Credeva che morire fosse sconveniente solo perché non si ha più tempo per pensare, un tempo che fino ad allora non si aspettava potesse finire così presto.
La breve vita di Nando la disturbò, perché la fece riflettere sulla sua e su quella di suo padre che, se non altro, quarant’anni li aveva vissuti.

Dopo la morte di Antonio aveva cercato ovunque, in chiunque e in qualunque cosa una motivazione della sua dimissione dalla vita e dopo undici anni non l’aveva ancora trovata.
Fu quando Nando morì che Antonella capì che in quella ragione non ci sarebbe mai inciampata, non allora e nemmeno nei seguenti quarant’anni.
Doveva solo essere in grado di non incolpare nessuno, neanche per la propria scadenza.

Dio andava saltando,
la donava e poi se la riprendeva,
a piacimento e senza colpe.

Nando non seppe mai di dover morire quella notte di maggio e non fu mai pronto. Ma Antonella con il suo pensiero inviato su quel tronco d’albero in mezzo al cielo decise di regalargli questa sua nuova prontezza. E in qualche modo sappiamo che Nando da quel momento in poi si sentì più sicuro in paradiso.

 

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