Il vampirismo tra finzione letteraria e folclore

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Il termine “vampiro” come lo intendiamo oggi risale al XV secolo e deriva da una parola magiara, vampir, con derivati slavi: vapir in Bulgaria e upuir in Russia. L’etimologia è incerta ma si può semplicemente ricondurre al significato di “succhiatore di sangue”. Contrariamente però a quanto possiamo pensare le testimonianze più antiche di forme di vampirismo provengono dall’Oriente, in particolare dall’Arcipelago Malese dove le leggende narrano di uno dei più antichi vampiri, il penanggalen, un essere composto solamente da bocca e intestino (penzolante). Figure strane ed esseri sovrannaturali che si nutrono di sangue si ritrovano in moltissime culture, anche in quella Africana, per esempio, con l’asambosam (che predilige suggere il sangue dai pollici delle persone addormentate).
Tuttavia la figura che tutti noi oggi conosciamo nasce tra XV e XVIII secolo dalla fusione tra la volontà della Chiesa Cristiana (Romana e Ortodossa) di indottrinare le popolazioni slave e le credenze e superstizioni di queste ultime. La Chiesa cristianizzò la figura del vampiro della tradizione folclorica slava leggendola alla luce della resurrezione di Cristo: chi credeva nel Risorto poteva anche accettare che un corpo seppellito ritornasse tra i vivi per volontà del Diavolo. La predicazione cristiana nelle terre slave era resa problematica soprattutto in relazione al tema dell’Eucarestia: non era facile far accettare l’idea che i fedeli bevessero durante la Comunione il sangue di Cristo, dal momento che la prerogativa del bere il sangue era dei non-morti. La transustanziazione fu pertanto spiegata con il linguaggio del vampirismo: poiché l’obiettivo del Demonio era quello di bere il sangue dei peccatori impossessandosi così della loro anima, i giusti potevano assumere quello di Cristo per partecipare alla sua santità.
L’ammissione da parte della Chiesa Ortodossa dell’esistenza dei vampiri portò questa superstizione a divenire una vera e propria psicosi collettiva, con conseguenze tremende come le persecuzioni. I soggetti più a rischio di essere considerati vampiri erano quelli che la società considerava diversi: i bambini con il labbro leporino, le persone con i capelli rossi, gli albini (pallidi e fotofobici) e i soggetti affetti da porfiria (che porta come conseguenza il fatto che i denti, i capelli e le unghie assumano una tonalità fluorescente) e da anemia perniciosa; ma non solo, i bambini nati a Natale venivano considerati impuri e a rischio di trasformarsi in vampiri, quindi era usanza bruciare i loro piedi in modo che la trasformazione non avvenisse.
Ma quali erano le tecniche per scacciare questi esseri e porre fine alla loro esistenza? Innanzitutto era usanza in caso di lutto girare tutti gli specchi della casa verso il muro per evirare che il defunto, intravedendo la sua anima, cercasse di riunirsi a essa. Nel caso in cui questa precauzione non fosse stata sufficiente si ricorreva a metodi più crudi come rompere la spina dorsale del morto, recidergli i polpacci, decapitarlo, cremarlo oppure seppellirlo con il volto verso il basso, così nel caso in cui si fosse risvegliato avrebbe scavato fino ad arrivare agli inferi, posto che gli spettava, invece di risalire in superficie. Un’altra tecnica diffusa nei paesi slavi era cospargere la zona circostante la tomba del presunto vampiro di semi, in quanto si riteneva che il vampiro, di ritorno dal suo banchetto, avrebbe dimenticato l’istinto di conservazione provando l’irresistibile impulso di contare i semi fino all’arrivo del crepuscolo.
Mentre l’Europa centrale e orientale (Cattolica e Ortodossa) era contagiata dalla febbre del vampirismo, quella nord-occidentale (Protestante) lo era dalle streghe. La dottrina del purgatorio infatti, negata da Lutero, toglieva credito all’esistenza di anime non-morte. La Gran Bretagna, in particolare, fu praticamente priva di questo mito; ne fu invasa solamente nel XVIII secolo non a opera del folclore ma della letteratura. Il termine “vampiro” fece la sua comparsa nella letteratura inglese fin dal decennio 1730-40. Nel pieno della fioritura dell’Età della Ragione queste allarmanti rivelazioni di cadaveri che camminavano trovarono però un’accoglienza poco entusiasta tra i circoli letterari, e solo in seguito, grazie alla moda gotica, divennero in voga nella società colta e romantica. Tra le opere più significative è importante ricordare: Thalaba the Destroyer (1797) di Robert Southey, poema epico gotico dove compare il tema del vampiro; The Vampire (1810) di John Stagg e The Vampire (1819), attribuito a Byron ma in realtà di John William Polidori,
Da questi testi appare evidente come il vampiro abbia radicalmente cambiato la sua immagine: da flagello prodotto dalla superstizione a veicolo di espressione artistica. Ma l’apice, come tutti sanno, viene raggiunto dal Dracula di Bram Stoker. Il Dracula fonde la tradizione dell’eroe byroniano gotico con quella della femme fatale, aggiungendo al tutto un ricco contenuto di tradizioni popolari. Le fonti di Stoker sono le più disparate: si avvalse di racconti popolari irlandesi, dei miti della tradizione gotico-romana come il Faust e l’Ebreo Errante; del tema (rielaborato) del Doppelganger di Stevenson (Dr. Jekill and Mr. Hyde) e soprattutto del The Woman in White di Collins, dal quale trasse l’idea del romanzo epistolare. Il personaggio di Dracula si può considerare un vampiro atipico, non soltanto perché lo scrittore per creare il personaggio si ispirò a Vlad Tepes, l’Impalatore, preceduto dalla sua fama, ma anche perché il suo vampiro desiderava essere tale, non era stato vittima della trasformazione, bensì l’aveva ricercata lui stesso. Questa consapevolezza distingue questo personaggio da tutti gli altri vampiri. Un’altra sua peculiarità è la sessualità talvolta esplicita e talvolta velata di questo romanzo che vede il sangue come protagonista di trasgressioni sensuali e il morso d’amore o il bacio del vampiro come l’apice del piacere e della sofferenza.
Infine non si può che sottolineare l’evidente parodia che Stoker fa del cristianesimo per cui il vampiro inverte e perverte tutto ciò che Cristo rappresenta: Egli è il Bene, Dracula il Male; Cristo era un umile falegname, il Conte un vanaglorioso aristocratico; Cristo è risorto all’alba, Dracula torna in vita e prospera nelle tenebre. Il legame fra Cristo e il Conte viene esplicitato in ultima analisi dal fatto che quest’ultimo rifugga dai simboli sacri. Il capolavoro di Stoker, che divenne un best-seller sin dalla sua data di pubblicazione nel 1897, è stato tradotto ad oggi quasi in tutte le lingue, e la figura del Conte è conosciuta in tutto il mondo. Alcuni dati di vendita testimoniano che nel 1989 il numero di copie vendute del romanzo raggiunse a pieno titolo il secondo posto tra i libri più venduti di tutti i tempi, superato soltanto dalla Bibbia, il che non suona proprio come una coincidenza, no?

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