Il signor M

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Le insegne al neon si mischiavano, fiancheggiando lo stradone, per poi sparire, risucchiate nel buio.
Giacomo guidava guardando dritto davanti a sé.
Elena non aveva il coraggio di commentare quel che era successo a cena.
Non sapeva come intavolare il discorso. Non sapeva neanche se ne valesse la pena. E soprattutto non sapeva quanto e cosa avesse capito Giacomo dalle sue parole.
Sdrammatizzare il tutto con una battuta? Sprofondare nell’imbarazzo? Fingere non fosse successo niente?
L’incertezza la frenava, non riusciva a decidersi. Una parola fuori posto e tutto, con molta probabilità, sarebbe stato rovinato.
L’unica cosa che le appariva certa, in quella notte surreale, era il come fosse apparso il suo comportamento: fuori luogo, certo insolente. Ma sincero, in mezzo a tanta ipocrisia.
E lei e il Signor M erano probabilmente gli unici ad averlo capito.
Se Giacomo sapesse, pensò Elena. Poi si autocorresse mentalmente.
Sarebbe meglio se lui non intuisse nulla, forse.
Giacomo ne sarebbe uscito distrutto, come sua madre.
«Al prossimo incrocio svolta a destra» gli ricordò, indicandogli un tabellone in lontananza.
Elena non riuscì a interpretare il suo tono di voce quando le rispose.
Si chiese se fosse stanco o se anch’egli fosse agitato da pensieri simili ai suoi.
«Lo so, non è la prima volta che ti riporto a casa»

Non era la prima volta, vero. Elena lo conosceva da oltre un anno.
Stessi corsi all’università, stessa zona di periferia. Paradossale che lei, fuorisede, avesse preso un appartamento proprio nel quartiere di Giacomo e che si fossero ritrovati a frequentare gli stessi corsi. Paradossale alla luce del fatto che lei avrebbe potuto scegliere un qualunque altro appartamento, in giro a Milano. Ancora più paradossale se si andava ad aggiungere la scoperta fatta la prima sera in cui Giacomo l’aveva riaccompagnata a casa, dopo una birra. Aveva svoltato nella sua via, si era accostato al marciapiede per farla scendere, poi aveva bloccato la portiera che lei stava richiudendo e aveva esclamato, sporgendosi dal suo lato,
«Ele, non ci credo. In questo palazzo c’è l’ufficio di mio padre!»
e le indicò l’ultimo piano. Il piano su cui stava anche lei.
A Elena era venuto da ridere quasi istericamente, nello scoprire che il motivo del suo non dormire la notte, negli ultimi mesi, fosse il padre dell’amico. Quasi non riusciva a crederci. Ma si era trattenuta. Aveva dato la buonanotte a Giacomo e chiuso la portiera. E quindi qualunque possibile rivelazione.
Almeno fino a quella sera.

Passarono accanto a un complesso di villette, su cui l’edera cresceva disordinata, color salmone. Come quello che avevano mangiato quella sera.

Era in offerta, occasione imperdibile. Erano usciti tardi da lezione, così Giacomo le aveva proposto di mangiare a casa sua. I suoi avevano una prenotazione in un ristorante, quindi la casa era libera. Una cena tranquilla, per staccare un po’ dai martellanti ritmi universitari. E soprattutto un programma che non lasciava presupporre alcunché della piega che avrebbero preso le cose.
Sarebbe stato meglio non fermarsi.
Mentre erano intenti a speziare il pesce avevano sentito il rumore della chiave girare nella toppa.
«.. mai più, non ne vale la pena, con tutti i posti carinissimi che ci sono qui vicino.»
«Oppure restiamo a casa direttamente. Oh, ciao tesoro, hai già cenato?»
I genitori di Giacomo erano entrati in salotto, posando i cappotti sul divano vicino l’ingresso.
«No mà, stavamo per infornare il salmone. Abbiamo ospiti a cena, stasera. Lei è Elena, una mia amica dell’università. Ma voi che ci fate già a casa?»
«Lasciamo stare, guarda. Un pasticcio con la prenotazione. Per riuscire a mangiare lì avremmo dovuto aspettare almeno tre ore e non ne valeva proprio la pena. Comunque che piacere conoscerti.»
«Piacere mio» aveva risposto Elena, posando la birra che aveva in mano su un ripiano.
La signora M aveva sorriso alla ragazza, poi si era diretta verso la cucina facendo dondolare il caschetto biondo.
«Ci dispiace aver interrotto i vostri programmi, ragazzi, purtroppo tuo padre è un vero testardo e non ha voluto sentire ragioni sul cercare un altro posto in cui andare a mangiare.»
Sentendo queste parole, il signor M aveva ribattuto dal salotto «Ci mancherebbe, che avvocato sarei altrimenti?»
«Ma nessun problema» l’aveva rassicurata Giacomo «stavamo preparando porzioni abbondanti. Ora prepariamo anche un’insalata.»
Si erano seduti a tavola. Elena aveva distribuito i piatti.
«Ah, l’università» aveva attaccato la conversazione il signor M, rivolgendosi ad Elena «che ricordi! Io e mia moglie ci siamo conosciuti proprio lì»
Elena aveva sorriso cordialmente «Davvero? Voglio la storia!»
«Non perde occasione per raccontarla» era stato il commento ironico di Giacomo.
«Prendi un’altra fetta, caro»
«Ecco, era già dolce e premurosa allora. Con gli anni lo è diventata ancor di più». Il signor M s’era versato un bicchiere di vino, che la signora M aveva rifiutato con un cenno, sorridendogli orgogliosa. Poi aveva proseguito. «C’era questo professore, Falcerio, bravissimo, un’eloquenza pazzesca. Ma aveva una pecca non indifferente: spiegava a una velocità tale che risultava impossibile prendere appunti senza perdersi pezzi di spiegazione o non capirci nulla. Ero esasperato. Un giorno ero talmente al culmine della disperazione che buttai il blocco degli appunti a terra, con un colpo secco, in segno di resa. Lei, che si trovava accanto a me, rise. Giuro su Dio, me ne innamorai all’istante. Poi mi passò i suoi appunti e iniziammo a parlare. Tre mesi dopo…»
«Vi metteste insieme.» aveva completato Giacomo.
«Tre mesi dopo ci mettemmo insieme. Per non lasciarci più. È stata un regalo dal cielo e ringrazio ogni giorno il Signore per questi ventidue anni. Abbiamo celebrato il matrimonio appena dopo esserci laureati. Era splendida in quell’abito bianco. Guarda quella foto, Elena» e il signor M aveva indicato una cornice d’argento appesa al muro, in cui i genitori del suo amico sorridevano impacciati al fotografo, stretti l’una all’altro.
«È veramente splendida e la vostra è una storia romanticissima» aveva convenuto Elena.
Giacomo aveva aggiunto «È un inguaribile romantico. E ho sentito talmente tante volte questa storia che quasi mi sembra di essere stato presente alla scena.»
Elena aveva sorriso ancora, ma nella sua mente erano andate a figurarsi altre scene, che cozzavano con l’idilliaco e tenero racconto che aveva appena ascoltato, e si era sentita in imbarazzo.
Se Giacomo sapesse.
Il signor M si era rivolto al figlio fingendo un tono arrabbiato. «È inutile che fai tanto il simpaticone, tu. Senza quel momento, tu non saresti qui. Nessuno di noi sarebbe qui. La nostra famiglia non esisterebbe. Ma Dio ci ha benedetto. E ci ha dato te, un figlio bello, intelligente e forte» Giacomo si era passato una mano dietro la nuca, in imbarazzo.
Dal piano di sotto aveva iniziato, a un tratto, a provenire una musica latina. Ad alto volume.
«L’ennesima festa. Credo che domani andrò a parlare con l’amministratore condominiale e a sporgere un reclamo» aveva sbottato il signor M, irritato. «Ogni volta la stessa storia. Ma non sono in grado di abbassare il volume?»
«Sono ragazzi papà, alla loro età non ti sei divertito anche tu? O sei nato adulto?»
«Non c’entra Giacomo, è questione di rispetto. Non vivono in una villa isolata in mezzo alla campagna. Siamo in un condominio. Ci sono delle regole da rispettare, per la civile convivenza. E una di queste è non far rumore. E loro vanno avanti tutta la notte. Per non parlare poi del degrado che lasciano ogni volta, il loro pianerottolo il giorno dopo è ingombro di sacchi pieni di bottiglie vuote»
Elena si era trattenuta dal commentare.
«Ma avete notato che, per una sera, stiamo cenando tutti insieme. Da quanto non capitava?» era stata l’uscita improvvisa della signora M, atta a smorzare un po’ i toni. «L’unico giorno libero di tuo padre, da un bel po’ di tempo a questa parte.»
Giacomo aveva sospirato, dandole un bacio sulla testa. «Sta sveglia fino a tardi, ogni sera, per aspettarlo» aveva rivelato ad Elena. «Sai che non ti fa bene»
«Lo so Giacomo, lo so» aveva risposto lei «ma non riesco a dormire altrimenti, sapendo che tuo padre è ancora fuori, in ufficio, a lavorare. È ingiusto. Almeno in questo modo quando torna a casa ha qualcuno che lo aspetta.»
Il Signor M si era calmato, dimentico degli inquilini del piano di sotto, e aveva passato un braccio intorno alle spalle della moglie, candidamente.
«Ah, come farei senza di lei. È lei che tiene veramente unita questa famiglia.»

Il semaforo diventò rosso di colpo. Giacomo inchiodò.

Elena si era bloccata a quel punto. Raggelata. Aveva guardato prima la signora M, poi il signor M. Non sapeva cosa dire. Anzi, lo sapeva benissimo: sentiva distintamente le parole montare, furiose, dentro di sé, crescere e gonfiarsi e accavallarsi tra la gola e la lingua, mentre nel petto il cuore le batteva forte. Quante menzogne si era bevuta in una sola serata. Era allibita, per l’ipocrisia con cui il padre di Giacomo le aveva raccontate, alla sua famiglia e a lei, un’estranea. Se era capace di mentire così bene chissà quanti altri segreti stava nascondendo, chissà quante altre sporche bugie. Era disgustata.
«Caffè per tutti?»
I rumorosi amplessi provenienti da quell’ufficio, i gemiti che da mesi ostacolavano il suo sonno, eccoli pesanti e invisibili piombare su quella tavola, fra i bicchieri di vino e i ringraziamenti a Dio.
A fare sesso in quell’ufficio, ogni sera, non erano i genitori di Giacomo.
La signora M era andata a preparare la caffettiera.
Elena non riusciva a sopportare oltre. Avvertiva su di sé il senso di viscido.
Il signor M aveva un’amante.
E guardarlo così placido, a tavola, mentre aspettava il suo caffè, mentre elogiava la sua famiglia perfetta, mentre si sperticava in lodi per la moglie la disgustava.
E dire che si era anche sentita in imbarazzo per l’amico, sapendo di udire involontariamente quei versi così intimi che credeva fossero della madre di lui. Si era sentita in imbarazzo perché credeva di violare, in qualche modo, quell’intimità genitoriale, conoscendo qualcosa che avrebbe preferito non conoscere.
Se Giacomo sapesse. L’aveva pensato con maggior forza.
Quindi l’aveva detto. Elena aveva rivelato, con un mutamento di tono evidente, di abitare proprio nell’appartamento adiacente all’ufficio del signor M e aveva aggiunto, guardandolo cinica negli occhi e facendo in modo che tale uscita potesse essere ricollegata alle lamentele di lui,
«E se proprio vuol fare il moralista, almeno lo faccia in silenzio. Le pareti del suo ufficio non sono così spesse e potrebbe arrivare anche a lei, un reclamo. Devo andare Giacomo, puoi darmi uno strappo?»
E si era alzata, mentre sotto il suo sguardo accusatorio il signor M sbiancava.
Giacomo l’aveva guardata spiazzato, senza sapere cosa dire.

Giacomo accostò. Era arrivata.
«Non so cosa mi sia preso. Scusa per la scenata»
«I genitori sanno essere pesanti. Sai quante volte mi sono incazzato con loro?».
Poi aggiunse, riferendosi alla fresca separazione dei genitori di lei
«Magari non sei neanche più abituata a relazionarti con una figura paterna, quindi ci sta»
Elena, amara, glielo lasciò credere. «Già, può essere questo.»
Lo salutò, mentre pensava che avrebbe voluto aggiungere all’accusa: «Ah, e la sua amante finge»
Quanto male stava facendo loro e loro ne erano ignari.
L’auto si allontanò. Se Giacomo sapesse, pensò ancora una volta Elena.

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