Il principio d’inerzia. Capitolo tre: E se fosse il primo?

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Capitolo tre:
E se fosse il primo?

Lasciando la Penisula Valdès mi si forma un nodo in gola. È tanto fastidioso, forse c’è per davvero qualcosa. È da questa mattina che non mangio né bevo niente. Potrebbe essere un insetto, prima ho spalancato la bocca davanti ai guanachi, deve essere saltato dentro e si è incastrato di traverso.
Per fortuna Manolo mi distrae con il programma dei prossimi giorni: ancora due settimane di viaggio!
Scusate, soprattutto voi appassionati di animali e natura come me, ma adesso non mi va di raccontare il resto dell’avventura. È stato molto emozionante, peccato per la grotta dell’eco.
Cos’è la grotta dell’eco? Questa estate, scrivendo il tema da presentare al concorso Il Mondo a mia immagine e somiglianza, sfogliavo l’Atlante in cerca di ispirazione. Tra le pagine dedicate all’Argentina, più precisamente nella cartina fisica, zona centro/sud, mi sono imbattuto in una piccola nota a fondo pagina che parlava di una leggenda diffusa delle popolazioni indigene. Pare che molti anni fa una grotta magica mise in salvo l’equipaggio di un’imbarcazione naufragata contro una fila di scogli nascosti da nuvole in tempesta. La ciurma ci visse per qualche tempo grazie a un ecosistema misterioso all’interno della stessa: fiori, frutti, animali mai visti. L’accesso al mare era a strapiombo sugli scogli che avevano fatto affondare la nave e verso terra sembrava non esserci via d’uscita. Gli uomini scavarono per mesi prima di trovare uno squarcio di cielo. Arrivato il momento di lasciare la grotta, molti marinai ne portarono un pezzo via con loro. Vedendo le sconosciute ricchezze provenienti da quel luogo, la gente del villaggio pregò i marinai di creare una mappa per far ritorno alla grotta. Non fu possibile, nessuno era in grado di ricostruire la strada compiuta, né come il mare ce li avesse introdotti. Qualcuno provò a tracciare delle piste, mettendo insieme le poche testimonianze raccolte, ma non si hanno notizie circa la riuscita dell’impresa. Se qualcuno l’ha trovata, non è tornato per raccontarlo, ma quando i venti dall’oceano tirano verso terra, si dice che l’aria porti con sé l’eco di rumori provenienti dalla grotta. Nel villaggio di Liagos, la cittadina cui fecero ritorno i marinai, esiste un piccolo museo che raccoglie tutte le strade percorse e segnalate. Una volta vinto il concorso, mi ero ripromesso di andarci e scoprire qualcosa di più, ma, arrivati in Argentina, le guide ci hanno fatto votare per scegliere tra due itinerari possibili. Tutto il resto del gruppo ha votato quello che non prevedeva sosta a Liagos, io non ho detto niente. E se poi davvero non esisteva?
Comunque, dicevamo: penso sia più interessante arrivare alla fine del nostro viaggio, ma non intristitevi. Dipende dai punti di vista, forse quello che vorrei raccontare suona più come inizio, insomma se le cose non finissero mai a un certo punto sarebbero sempre uguali, no?
Ci avevano radunati, ragazzi e guide, nel salone del check-in di Buenos Aires. Pioveva a catinelle, l’aereo era in ritardo e le pance brontolavano. Chiari sintoni da rientro aleggiavano nell’aria. Alberto mi ha tirato una gomitata e dice:
– Tornare a casa non sarà la fine del mondo. Il mio letto mi manca e, con tutte le volte che mia mamma mi ha costretto a usarlo non l’avrei mai detto, ma anche il bidet mi manca!
Poi ridacchia per la genialata appena sparata, smette appena si accorge che il suo stato d’animo non è come il mio.
Allora dice:
– Peter, mi preoccupi un po’.
Ma anche la preoccupazione non dura molto, tempo zero è lì che pensa ai fumetti che la mamma gli accumula sulla scrivania dalla partenza.
Ci hanno fatto pranzare e poi via verso l’imbarco. Alberto ci riprova, mi racconta l’episodio nuovo di Lupin, lo ha visto nella sala d’attesa dove io non sono voluto entrare. Sai cosa importava la tv, capiterà più di tornare da queste parti? E la grotta dell’eco?
Seguivo gli altri con le braccia a ciondoloni e il mento quasi al petto. Ci hanno fatto mettere in fila, documenti pronti, e le guide contavano le teste che passavano sotto le loro mani dopo che l’hostess al banchetto strappava il tagliandino del biglietto. Quando hanno toccato me, ho alzato lo sguardo, il tubo nel quale la signorina mi ha detto di entrare era brutto e stretto. Ho fatto due passi in avanti e il nodo in gola è tornato così grande che quasi non riuscivo a respirare. Ho tossito una volta, poi un’altra, ma non passava, e allora ho tossito più forte, ma niente. Ho preso un grande respiro, le mie gambe anziché andare in avanti hanno iniziato ad arretrare, prima piano poi sempre più veloce. Mi sono voltato e ho visto tanti colori oltre le porte di quell’orribile sala. Ho cominciato a correre così forte da non sentire neanche più la gola. Ero eccitatissimo, il cuore batteva a mille battiti, ridevo come un matto, e correndo verso l’uscita pensavo solo alla mia grotta. Ho visto le porte scorrere e l’uscita dall’aeroporto si apriva davanti a me. Il ridere è diventato un sorriso e il respiro affannato si è calmato con il rallentare del passo. Il sorriso è diventato stupore, all’improvviso ho realizzato di essere solo.
Una volta mio papà ha confessato di essere andato nel panico durante un’uscita in barca, non ne sono certo ma credo di aver provato le stesse cose descritte da lui. Le gambe tremavano, mi sono dovuto sedere per non cadere, dando così un po’ nell’occhio. Avevo bisogno di tempo per pensare. A fianco a me c’era una vecchia signora con lo chignon e lo sguardo tra le nuvole. Mi sono messo a guardare il cielo pensando alle possibili mosse.
La cosa più semplice da fare era tornare sui miei passi, consegnarmi alle signorine della compagnia aerea e farmi mettere sul volo successivo, ma io non sopporto tornare indietro. Quando vado a camminare da zia Rinaldin, piuttosto che percorrere la stessa strada dell’andata, per tornare a casa me ne invento una tra sassi e cespugli. E poi la grotta dell’eco? Sono state le mie gambe a combinare tutto questo casino, dovrà pur esserci un motivo.
E allora io resto.

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