I demoni della porta accanto

Pubblicato il Pubblicato in Ayas Littéraire 2017, Critica, Eventi, Letteratura

1494. Nei sotterranei di un castello valdostano si consumano gli ultimi istanti di vita di Britta, giovane bella e solitaria condannata al rogo per stregoneria. 2014. Nello stesso luogo una ricercatrice rinviene il cadavere di una ragazza del posto affascinata dall’occulto.

Nel secondo appuntamento di Ayas Littéraire, fissato per sabato 12 agosto alle 21.15 al Salone di Monterosaterme di Champoluc, Valeria Montaldi ci condurrà attraverso i sentieri de “La randagia”, il suo ultimo romanzo (edito nel 2016 da Piemme). Sono proprio i pendii della Val d’Aosta, e d’Ayas in particolare, a celarsi dietro ai luoghi letterari: le poco collaborative comunità alpine e i vertiginosi tornanti, i boschi e i castelli, Machod e Saint Jacques aux Bois. Ed è il sotterraneo del castello di Saint Jacques a ospitare il significativo incontro tra presente e passato: toccherà al Comando dei carabinieri di Aosta risolvere il mistero, ma determinante sarà il contributo della medievista Barbara Pallavicini.

La capacità − ma anche il coraggio − di leggere il presente attraverso il passato infatti può portare molto lontano ed è una pratica più ragionevole di quanto sembri: parlare di “presente” e “passato” equivale a separare linguisticamente ciò che in realtà nella storia procede senza soluzione di continuità, soprattutto − dice la Montaldi − “dal punto di vista umano: stesse le dinamiche, le convenzioni e le emozioni dei singoli; così come gli intrighi, la depravazione e l’aggressività”. Non bisognerebbe allora parlare di “romanzi storici”, bensì di romanzi ambientati in tempi passati, che dietro erboristi, monaci e castellani nascondono uomini e donne di oggi. Detto ciò, appare molto naturale ne “La randagia” l’irruzione della contemporaneità, per la prima volta protagonista dopo sei storie collocate nel Medioevo: “Il mercante di lana” (Premio Città di Cuneo, Premio Frignano, Premio Roma), “Il signore del falco”, “Il monaco inglese” (entrambi finalisti al Premio Bancarella), “Il manoscritto dell’imperatore” (Premio Rhegium Julii), “La ribelle” (Premio Città di Penne, Premio Lamerica, Prix Fulbert de Chartres), “La prigioniera del silenzio” e, infine, “La randagia”. Titoli evocativi, porte aperte su un passato che ha ancora tanto da dire e che ha trovato in Valeria Montaldi una valida portavoce, in grado di unire l’accuratezza della documentazione alla capacità di evocare il fascino dell’epoca. Un equilibrio vincente − tutt’altro che scontato quando si ha a che fare con romanzi di questo genere − che il percorso di studi classici dell’autrice ha contribuito a perfezionare: senza una raffinata − e impegnativa − ricerca mancherebbe la base solida su cui costruire una buona storia, ma d’altra parte senza l’abilità di dosare le nozioni e di calarle in un intreccio avvincente si avrebbe a che fare con un saggio storico e non con un romanzo. Significativa, infine, è la sua esperienza ventennale nel giornalismo, che non solo le ha insegnato a scrivere, ma anche a cogliere il vero io delle persone: ad incuriosire, oltre ai luoghi e alle atmosfere, sono infatti i suoi protagonisti o, nel caso dell’ultimo romanzo, le protagoniste, dato che accanto al verace maresciallo Randisi compare una schiera di donne dall’individualità molto marcata. Donne indipendenti che spiccano sulle altre, invidiose e sospettose, e che non lasciano indifferenti: Britta da Johannes, erborista solitaria e acculturata che vive in compagnia di un lupo; Barbara Pallavicini, ricercatrice testarda e sagace; Gabriella Spadoni, PM anticonvenzionale, e Claudia Lucchese, neo-maresciallo competente e motivata.

Il gioco di rimandi tra presente e passato infatti non è soltanto la chiave di risoluzione del caso, non è soltanto una strategia narrativa: ha una portata decisamente più vasta e balza fuori dal libro per chiamarci in causa in quanto persone, più ancora che come lettori. Il diverso, l’outsider, la donna emancipata spaventavano nel 1494 e spaventano oggi, scandalizzano le piccole comunità sparpagliate sull’arco alpino tanto quanto le cosmopolite e globalizzate metropoli moderne. Se poi l’outsider si trova ad avere una relazione con il figlio del castellano e toglie lavoro ai medici del paese come la bella Britta -o fuor di metafora inizia ad avere successo in qualche aspetto della sua vita- è verosimile che alla paura e alla superstizione inizi a sommarsi anche l’invidia: un cocktail micidiale che causa ritorsioni disumane (o forse troppo umane?). È comodo infatti relegare ai retaggi di un non ben determinato (ma soprattutto non ben compreso) “Medioevo” tutto ciò che dell’uomo indispettisce e atteggiarsi a homo sapiens 2.0, intellettualmente e moralmente aperto ma solo a livello teorico: è invece molto più difficile ammettere che i demoni infestano ancora oggi le città e le menti e che, sì, i metodi sono certamente mutati, ma non la forma mentis che ne autorizzava, tacitamente o meno, la pratica. È contro la superstizione e l’omertà, soprattutto, che Barbara e Randisi dovranno combattere.

Una realtà rivestita di letteratura o, meglio, una finzione fin troppo verosimile. Non sorprenda quell’alone soprannaturale in cui si muovono i due spiriti, di Britta e del suo lupo: stanno lì a ricordarci che logica e razionalità non portano ovunque, che l’invisibile e l’indicibile giocano un ruolo fondamentale nelle vite di tutti, che la fiducia nel proprio istinto e la ricerca metodica non si escludono a vicenda. Un romanzo storico, un giallo, un noir, un thriller o, al di là di qualsiasi etichetta, due storie che vale la pena raccontare.

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