Grande trampoliere smarrito è il titolo del volumetto uscito a ottobre 2018 nella Piccola Biblioteca di Adelphi, curato da Edgardo Franzosini che ha firmato anche il saggio finale. Un piccolo scrigno dalla copertina verde che raccoglie opere scelte di Arthur Cravan: un personaggio lasciato dalla storiografia letteraria in secondo piano e che Franzosini riporta all’attenzione dei lettori e nel dibattito letterario sull’avanguardia di inizio ‘900. Perché se in Italia il ‘poeta pugile’ è pressoché sconosciuto -il libro di Adelphi è il più completo e comprende una selezione di articoli, poesie, lettere e aforismi di Cravan- all’estero invece gode di tutt’altra considerazione: possiede un’abbondante bibliografia critica, oltre che romanzi e graphic novel persino.
Edgardo Franzosini mi dà appuntamento a Brera, lo aspetto fuori dalla Braidense per dirigerci insieme ad un caffè dove iniziamo a parlare del Trampoliere.
–Come hai conosciuto Cravan?
E’ stato alla Central di Barcellona, una libreria straordinaria: enorme, piena di libri ma curata con la stessa attenzione dei piccoli librai che riconosci al primo sguardo. C’erano delle foto appese, una carrellata di autori: Becket, Thomas Mann, Borges e poi c’era anche questo enorme manifesto del 1916 con due boxeur in un corpo a corpo. Mi ha incuriosito molto: cosa c’entra la boxe in una libreria? Ho chiesto al libraio e quando mi ha detto che il pugile raffigurato accanto a Jack Johnson era anche un poeta la curiosità è scattata subito. Da lì ho iniziato a scavare e ho scoperto un personaggio unico, con tante facce e non del tutto a compartimenti stagni.
-Partiamo dal Cravan poeta.
E’ stato un precursore, del dadaismo in primis come del surrealismo. André Breton ha detto che l’incontro con Johnson del 1916 è stato uno degli eventi più importanti della storia del surrealismo. E sempre Breton quando parlava della rivista di Cravan, Maintenant, diceva che la sua forza risiedeva proprio nel fatto che preoccupazioni extra letterarie ebbero il sopravvento. Nella rivista c’era un programma chiaro: a Cravan non importava del passato; del futuro non aveva paura; esisteva solo l’adesso. Lui diceva di essere il “bebè del secolo”: è appena nata l’avanguardia. Ricordiamo che di Maintenant Cravan era fondatore, editore, redattore unico e anche distributore per le vie parigine.
–Cravan a Parigi entra in contatto con il fiore della società letteraria dell’epoca, eppure cerca sempre di tenere le distanze anche dai suoi estimatori, come mai?
C’è in Cravan una grande lotta e lo ammette egli stesso: “Sono onesto e sono subdolo, sono gentile e sono un gradasso”. Lui era tutto, voleva essere tutto. Cravan parlava di funesta pluralità: secondo lui non c’è niente di peggio di avere mille anime imprigionate in un unico corpo.
-A proposito di corpo, il fisico per lui era fondamentale: oltre che come pugile anche come persona che respira.
La fisicità ha un posto centrale nella vita, e nella poetica, di Arthur Cravan. E’ un indice importantissimo per studiarne la figura e la complessità: ne parla sempre, e lo capiamo bene perché era anche un atleta. Diceva di non riuscire a immaginare un uomo che fosse più uomo di lui. E pensiamo a quanto scrive nel suo articolo Oscar Wilde è vivo! Una notte del 1913 riceve la visita dello scrittore inglese, morto all’alba del XX secolo, e una delle prime cose che nota è la differenza tra i loro corpi. E, specificata la differenza dei toraci, delle teste e degli arti, chiede allo zio: “Come possiamo noi ridere insieme, se siamo così diversi?” Lui si sentiva unico, ma -infine- paradosso: lui è morto esattamente 100 anni fa, e la sua salma non è mai stata trovata.
–E su questo è esemplare l’episodio dell’incontro con André Gide, sempre descritto da Cravan in suo articolo.
E’ esemplare davvero: Cravan parla del vecchio letterato come di un uomo il cui corpo si sta quasi sfaldando. Il vecchio dalle ossa piccole e con la pelle cadente ha una fisicità completamente opposta rispetto a Cravan: giovane, energico e vitale. Il dialogo mette in luce quella che è la frattura letteraria di quelli anni: Arthur Cravan si presenta dal maestro di scrittura dicendo di essere più a sua agio nel parlare di ciò che non è letteratura, ma Gide invece insiste: lui può parlare solo di letteratura. E qui siamo su due fronti opposti, da una parte l’idea di una letteratura che ha tenuto banco fino ad allora; e dall’altra invece l’insofferenza dell’avanguardia che ha già preso forma e che da lì a pochi anni avrebbe conquistato il suo posto nella storia letteraria.
–Questo è Cravan come si presenta nei suoi articoli in Maintenant, ma c’è dell’altro? Com’era Arthur Cravan nelle sue lettere invece?
C’è un’altra persona, più fragile e sensibile. Le sue lettere sono forse le cose più belle, o che almeno ci forniscono forse una parvenza di verità su quella che era il carattere, l’uomo Cravan. Poi però ci sono le sue poesie che sono una via di mezzo tra le due cose. Una inizia addirittura con un urlo: c’è la voglia di uscire fuori dagli schemi e di sovvertire le regole della lirica, però qualche altra cosa trapela. Perché la poesia non perdona, se uno è poeta vero -come lo era Cravan- non può prescindere da una certa onestà verso se stesso. Lui indossa sicuramente più volentieri la maschera nei suoi componimenti in prosa, nella poesia fa fatica a togliersela e nelle lettere invece cade proprio. Ricordiamo poi anche il suo prosopoema: uno scritto a metà tra prosa e poesia, perché Cravan è ambivalente anche con la penna in mano.
–Anche Wilde aveva scritto delle “prose poetiche”, parliamo del rapporto con lo zio famoso.
Penso che non si siano mai visti, se non in quell’incontro descritto in Oscar Wilde è vivo! ma visto che Wilde era morto tredici anni prima non possiamo esserne poi così sicuri. Il padre di Cravan era il fratello della moglie di Wilde, ma non avevano rapporti. Era tuttavia una parentela che Cravan sentiva molto, di cui si blasonava: ha scritto diversi articoli su Wilde e c’è una storia divertente. Sulla morte di Cravan ci sono molte leggende: una di esse lo vede ancora vivo nel 1920/1921 a Parigi intento a vendere degli inediti falsi di Oscar Wilde. Tanto è stato detto sulla scomparsa di Cravan, c’è chi pensa che nel ’18 si sia solo allontanato per scappare da Mina, che in realtà lo adorava: l’unica donna che ha sposato, a Città del Messico, e dalla quale ha avuto una figlia. Mina Loy nei suoi scritti lo ricorda come un dio. In un suo libro scrive che era un “bruto mistico”, definizione che mi ricorda quanto detto da Paul Claudel su Arthur Rimbaud: “un mistico allo stato selvaggio”. Si avverte il legame tra un certo misticismo e una grande fisicità.
–E poi non possiamo dimenticarci le sue conferenze, a metà tra il comico e il grottesco.
Arthur Cravan annunciava le sue conferenze in pompa magna e non si limitava a parlare: nella stessa serata boxava, discuteva e ballava. Era in qualche modo un performer, e la sua presentazione più ricordata è quella di New York: era stato invitato a tenere una conferenza per inaugurare un’esposizione di quadri da Marcel Ducham, arrivò ubriaco e durante la presentazione iniziò a spogliarsi fino a restare in cache-sexe, per poi essere arrestato. E non è il solo episodio in cui possiamo vedere il lato comico e grottesco della personalità del poeta. A differenza di altri avanguardisti e futuristi Cravan era pacifista, e fugge dalla Francia proprio per evitare di arruolarsi. Per evitare i controlli in America addirittura si travesta da donna: 100 kg e quasi due metri in abiti femminili, te lo immagini?
-Nella tua carriera di scrittore ti sei sempre occupato dei “minori”, di personaggi che prima di te pensavamo a margine della letteratura e che hai riportato al centro dell’attenzione. Il tuo ultimo libro era su Arthur Rimbaud invece, su un “grande” la cui bibliografia conta più di ottomila volumi. Com’è stato scrivere su Cravan dopo Rimbaud?
Mi sono occupato di Rimbaud ma di un evento piccolo e misterioso, ossia la sua permanenza a Milano dopo che aveva posato la penna e rifiutato la poesia. Perché il mio interesse è sempre nelle pieghe, della storia, dell’arte e della letteratura. Sono le lacune che la storia ha lasciato che io cerco di riempire.
E a me le pieghe piacciono tanto.