Carnevale d’inettitudine. Capitolo tre: diritto di recesso

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Giuliano si gettò sul letto disfatto, aveva i capelli ancora umidi e si chiuse tra le coperte. Sul comodino mezz’oretta prima aveva gettato, irritato da una frase, un libricino dalla copertina verde acqua in carta riciclata. Lo riprese in mano, continuando da dove aveva interrotto. Glielo aveva inviato Caterina, l’autore era un suo amico: una piccola raccolta di poesie pubblicate da meno di un mese. Gli era stato anticipato con un messaggio, fin troppo esaustivo.
Quella sera era atteso per le venti a cena da Alessandro, rientrato la mattina stessa da Shangai. Erano le diciassette e aveva tutto il tempo di finire il libercolo. Lo riteneva pessimo, come molti del resto: la critica ne aveva taciuto fino a quel momento. Caterina di certo non sperava in una raccomandazione, era abituata al comportamento di Giuliano. Gli aveva inviato il libricino come fosse un’invito all’azione, un’ulteriore sfida per l’esteta che vantava un salotto ricercato.
La forma voleva essere un tentativo di raccolta di un lascito perduto qualche decennio prima, un movimento che aveva goduto di poca fortuna nel panorama editoriale italiano. Un motivo ci sarà… aveva risposto Adriana al telefono quando Giuliano gliene aveva parlato. Lesse ancora qualche poesia, cercando qualcosa da salvare.

Si rese conto, come un’epifania lampante, che l’autore doveva aver letto molto negli anni. Si accorse di piccole parole, male inserite a metà enjambement o con la cesura sbagliata, ma che riaccendevano in lui vaghi ricordi. Si concentrò su una poesia in particolare, la rilesse più volte nella sua mente e infine la declamò, ancora avvolto nelle coperte ma meno umido di prima. L’autore non era così stupido come pensava, se ne convinse leggendo ancora qualche riga. Si alzò, si vestì a metà e libercolo in mano si diresse in salotto, ancora con la camicia sbottonata e senza cintura a tener stretti i pantaloni che aveva preparato con cura prima di lavarsi. Su uno scaffale teneva ben nascosta un’edizione che aveva usato negli anni di formazione universitaria senza poi riaprila più. L’aveva curata un allora giovane dottorando, con cui poi era entrato in amicizia. L’indice in fondo era una novità per i tempi, raccoglieva non solo le rime e le poesie per datazione ma cercava anche di ordinarle in base tematica. Trovò la voce che gli interessava: sette pagine in tutto sotto il lemma. Le lesse in fila, prima di concedersi un sorriso. Bella avanguardia, davvero: fare una scola nova rubando a un monumento. Iniziò a camminare per la stanza, sfogliando ancora le poesie sul libricino di carta riciclata. Se avesse controllato più affondo di certo avrebbe trovato altri riferimenti, ma non se ne preoccupò. Aprì il portatile e si informò sull’autore. Emergente è già un complimento. Era in effetti giovane, appena uscito dal triennio universitario. Alla prima pubblicazione e solo due articoli di presentazione erano disponibili online: sul blog studentesco della sua università, e scoprì che ne era stato vicedirettore, e sul sito della piccola casa editrice con sede a Repubblica, non dalla fama così pulita, che si era accollata l’investimento. Decise che ne avrebbe parlato con Caterina al momento giusto, al loro prossimo incontro: del potenziale poteva anche esserci, ma lo stile e l’ispirazione andavano sostituiti prima che il nome si compromettesse troppo.

Alessandro si era da poco trasferito in un nuovo appartamento in Porta Romana, obbligato dalla necessità di spazio: aveva lasciato dopo quasi dieci anni un piccolo bilocale a Lima, che aveva affittato al primo anno di università. Anche dopo aver iniziato il lavoro, affiancando il padre nella gestione dell’azienda di famiglia, non si era voluto spostare. Ma i suoi amici, tra cui anche Giuliano, lo avevano convinto a fare il passo: Alessandro non tanto per un sentimentalismo stava bene nel suo bilocale, ma lo irritava piuttosto il pensiero del trasloco. Giuliano gli diede una mano, come Andrea e Alberto. In due giorni neanche avevano inscatolato tutto, Alessandro non era un accumulatore o un collezionista sentimentale.

Il nuovo appartamento in Porta Romana era molto bello, più di centodieci metri quadrati di spazio con terrazzo annesso: una grande sala, una cucina abitabile e due stanze molto capienti. L’arsura estiva già si faceva sentire, quindi Alessandro aveva in mente di cenare sul terrazzo areato e non avrebbe sentito discussioni. Aprì la porta a Giuliano completamente a suo agio con una camicia cobalto leggermente più larga del dovuto: si muoveva ancora un po’ impacciato nella nuova casa, notò l’amico, ma si era trasferito da meno di un mese. Parte dell’arredo era ancora da ordinare e una stanza era vuota. Non aveva ancora avuto il tempo di organizzarla, ma sapeva che non ne voleva fare un ufficio.
“Ho già una scrivania imponente al lavoro, cosa me ne faccio di un’altra in casa mia?” E versò un bicchiere a Giuliano, che nel frattempo aveva allentato la cravatta grigia e buttato la giacca sul divano di pelle rossa.
“Questo lo hai rubato a Freud?” gli aveva chiesto l’amico la prima volta che era entrato salotto. Alessandro ne aveva riso e aveva annuito energicamente. Tutti i mobili erano nuovi, su questo punto Matteo era stato molto chiaro nel consigliare l’amico. Casa nuova mobili nuovi.
Giuliano era arrivato in ritardo ovviamente, ma non lo fece apposta: si era attardato cercando ancora qualche rimando nel libercolo lasciatogli da Caterina.
“Testardaggine professionale scusami. Sono contento di rivederti Alessandro” disse Giuliano stringendo la spalla del compagno di mondo. Avevano già stappato il prosecco, l’ospite ne versò ancora un bicchiere e brindarono. Era da tempo che non si ritrovavano loro due da soli. Si incontravano due o tre volte la settimana, ad una festa o per un pranzo veloce tra un ufficio e un altro, o magari a teatro o una degustazione; ma le occasioni in cui potevano essere solo loro amici presenti erano diventate uniche. E ne approfittavano sempre.
Alessandro era un ottimo cuoco, era il suo piacere scovare ingredienti rari nei suoi viaggi di lavoro e poi proporgli agli amici. Ma quella volta dal suo viaggio non aveva portato altro che un liquore molto forte, che tenne per il caffè. Aveva comprato della carne cruda in un posto di fiducia invece, sua grande passione, e poi aveva intenzione di fare una pasta. Giuliano preparò il tavolo in maniera spartana, con due tovagliette di stoffa grezza e dei piatti di creta, mentre Alessandro preparava il sugo speziato che tanto si era allenato a fare. Poi preparò la carne e disse a Giuliano mentre cercava una bottiglia di vino rosso giusta per l’occasione:
“Condiscila tu, trovi il parmigiano in frigo e un pepe messicano in dispensa. E’ in una scatola di latta verde, vacci pesante sentirai che buono.” Giuliano trovò il condimento e aperta la scatola lo annusò, gli piacque molto:
“Posso rubartene un po’?”
“Ma certo, ricordamelo prima di andare che te ne preparo una confezione.”

Cenarono in tranquillità, Alessandro raccontò a Giuliano del suo viaggio: non gli era piaciuto particolarmente. Non era la prima volta che veniva spedito in oriente dal padre. Era rimasto affascinato per l’architettura, ma era molto più incuriosito dai paesaggi che non aveva avuto il tempo di esplorare.
Ad Alessandro piaceva il suo lavoro, Giuliano ne era sicuro, ma era altrettanto sicuro del fatto che la scelta tra un’azienda farmaceutica e un’azienda automobilistica non avrebbe fatto differenza. Alessandro affrontava la giornata con eroismo, ed era un perfezionista in tutto e per tutto. Ma quando aveva finito e si riteneva soddisfatto la stessa attenzione e la stessa passione che impiegava nella direzione dell’azienda veniva spesa per il piacere e la tranquillità.
Aveva una piccola casa sulle Alpi, in cui si rifugiava non appena il lavoro glielo permetteva. Era un alpinista provetto fin dai sedici anni, passione ereditata dallo zio, una passione che di certo si sarebbe portato dietro per tutta la vita.
La conversazione sull’Asia durò tutta la cena, secondo uno schema ben stabilito da un’amicizia quasi trentennale. Quando Alessandro ebbe finito di raccontare stapparono il liquore e se ne versarono un bicchierino ciascuno. Poi rimasero in silenzio, in contemplazione dei tetti cittadini. Giuliano ruppe il silenzio solo dopo aver versato altri due bicchieri, per se e per l’amico.
“Sono stato da Federico.” Eccolo, il primo fantasma della serata. Alessandro scambiò un rapido sguardo con Giuliano, poi si appoggiò il bicchiere alle labbra.
“E’ ancora a Verona?” si riferiva a Federico Cristofori, uno dei mentori dell’adolescenza di Giuliano. Cristofori era stato un importante giornalista negli anni, e aveva formato più di una generazione di critici, l’ultimo dei quali era appunto l’esteta e poeta milanese. Si era ritirato in pensione da pochi anni, anticipandola per stare accanto alla madre dopo la morte improvvisa del padre. Non era più tornato a Milano, e usciva da Verona in poche occasioni per concedersi una vacanza. Alessandro lo aveva conosciuto, e anche se non gli era particolarmente simpatico sapeva che per Giuliano era stato come un fratello maggiore.
“Sisi certo a Verona. Ero di passaggio, gli ho telefonato la sera prima e ci siamo visti a pranzo a casa sua. Quasi come dieci anni fa, sua madre mi ha fatto i complimenti per la barba” e se la lisciò con un sorriso, poi continuò:
“Mi ha assicurato che è una novità gradita. Ha cucinato il mio piatto preferito, se lo ricorda ancora.” Alessandro versò un altro bicchiere sorridendo, la bottiglia era per metà vuota e tra l’alcool e il viaggio la testa iniziava a diventare pesante. Era il momento che preferiva, al limite tra due coscienze.
“Perché quasi?” Giuliano pucciò le labbra nel bicchierino, ma non bevve. Sentì il forte odore di erbe e ne godette ad occhi chiusi per qualche secondo. Capiva perché Alessandro si era portato proprio quel liquore così forte: gli ricordavano le montagne che tanto amava. Sapeva che nel mobiletto in salotto conservava una scorta non troppo segreta di grappe alpine, rimediate tramite conoscenze nei suoi paesi preferiti. In montagna non era il vicedirettore Alessandro Stefani, ma uno scalatore qualsiasi, tra i tanti che arrivavano per sfidare la roccia. E Alessandro era un vincente.
Attese che Giuliano si riprendesse, sapeva di reggere meglio di lui gli alcolici. Dopo qualche secondo il poeta gli rispose:
“E’ stato diverso. Non mi ero mai accorto della sua solitudine.” Alessandro rise, si alzò e fece qualche passo verso il cornicione, invitando a Giuliano a fare lo stesso. Così facendo sperava di evitare l’impatto con il secondo fantasma.
“Federico è sempre stato da solo, non l’ho mai visto in compagnia per più di una manciata di secondi.”
“Hai detto bene. Era un suo vanto, quando uscivo con una ragazza all’università mi prendeva in giro. Mi incoraggiava morbosamente ad evitare di perdere tempo, mi diceva scrivi! Ogni volta che mi vedeva ad una festa o a teatro, a anche solo in redazione mentre studiavo tra due articoli non faceva altro che ripetermi scrivi!”
Alessandro conosceva tutte le tappe della vita intellettuale dell’amico, era lì il giorno della presentazione della sua prima raccolta. Era accanto a Giuliano il giorno dell’alloro e si intrufolò anche alla sua prima lezione, tenuta da assistente alla cattedra di Letteratura Latina. Ovviamente non aveva capito nulla né di arcaismi linguistici né tantomeno dell’importanza della figura del protettore politico nella produzione letteraria dell’età d’oro, ma a fine lezione offrì all’amico un bicchiere di vino al bar universitario. Si ricordava di quanto fosse costato all’amico dedicarsi alle Lettere, da studente e da scrittore in erba. E non apprezzava Federico Cristofori per l’eccessivo zelo, per l’arroganza dei modi e per come trattava i suoi giovani collaboratori. Ma in più di un’occasione lo aveva sopportato, in compagnia di un drink o di altri amici.
“Questa volta però l’atmosfera era pesante. Non me ne sono accorto subito, abituato com’ero al rituale di quella casa non ci ho fatto attenzione. All’inizio tutto sembrava perfettamente normale. Si è incrinato il quadro dopo gli antipasti. Pensavo fosse solo stanco, invece Federico stava male.” continuò Giuliano. Si sbottonò ancora un bottone della camicia e si grattò il collo. Alessandro ascoltava, ancora appoggiato al cornicione, ogni tanto spostava lo sguardo su Giuliano e poi lo riportava sui tetti o sulla strada sottostante.
“Si vedeva dai modi, da come avvicinava il bicchiere alla bocca o da come rifiutava il cibo dal piatto di portata. Sua madre invece mangiava, ha mangiato tutto. Non parlavano molto, ma mi chiesero tante cose. Federico voleva sapere cosa stessi scrivendo, e come sono i nuovi studenti. Me lo chiedeva come un’ossessione, voleva sapere della frequenza, se mi ricordavo i volti, se erano più ragazzi o più ragazze, se qualcuno aveva l’abitudine di arrivare in ritardo…mi ha chiesto di tutto e io rispondevo con un sorriso. Pensavo che volesse informarsi per un articolo, o essere gentile come suo solito.”
“E invece?”
“Ad un tratto si zittì, fissando il piatto. Aveva ancora un pezzo di carne, lo lasciò li e si ammutolì. Sua madre se ne accorse prima di me e disse guardandolo Siamo una famiglia più ristretta adesso. E così capì. Con nonchalance chiesi se qualche altro amico fosse più venuto a trovarlo, se avesse rivisto Matteo o Fabio, Giuseppe o Alex. Federico tornò a guardarmi: Quali amici? Mi ha chiesto.”
Alessandro aspettava il terzo fantasma, ma non sapeva se Giuliano si sarebbe spinto a tal punto. Restarono in silenzio allora, Alessandro finì di vuotare il suo bicchiere e Giuliano si concentrò su una macchina rossa che stava parcheggiando sul marciapiedi. Poi Giuliano si girò di schiena, allargando le braccia e alzando le spalle per tirare i muscoli. Alessandro attese ancora un attimo prima di riprendere:
“Ha avuto le sue occasioni di farsi una famiglia, come tutti. E’ stata una sua scelta.”
“Ma lui lo sapeva? Si era accorto di cosa stava accadendo alla sua vita o fino all’ultimo era convinto di poter tornare indietro senza pagare il giusto tributo?” gli rispose subito Giuliano, con lo sguardo rivolto al cielo e ancora con le braccia allargate. Alessandro stava per chiedere ulteriori spiegazioni, ma l’amico fece qualche passo in avanti e tornò a sedersi. Prese la bottiglia e guardando Alessandro ammiccò:
“Che facciamo? Ce l’ammazziamo?”
“Che domande! Versa.”
Anche Alessandro aveva sempre la battuta pronta. Sapeva che Giuliano avrebbe combattuto il terzo fantasma più tardi, in solitaria: con un taccuino e una penna, un’eroica lotta che sarebbe durata per una notte.

Una settimana dopo uscì un nuovo articolo di Giuliano, ma Alessandro se ne accorse per caso. Stava bevendo un caffè, di mattina, aspettando un consulente. Lo vide a caratteri scuri sulla carta, con un titolo solenne:

“Il nostro diritto di recesso”

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