Teatro Elfo Puccini ottobre 2017: Atti osceni

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Uno spettacolo sull’arte e sull’amore. Uno spettacolo sulla libertà: di creare e di amare; quindi di essere. Il “progetto Wilde” dell’Elfo Puccini di Milano aggiunge una nuova, preziosissima, tessera al proprio puzzle portando in corso Buenos Aires Atti osceni.

Prima nazionale debuttata al Festival dei Due Mondi di Spoleto, in scena a Milano fino al 12 novembre, l’opera scritta dal venezuelano Moisés Kaufman ricostruisce i tre processi che coinvolsero Oscar Wilde e che portarono lo scrittore dalla posizione di accusatore a quella di condannato a due anni di prigione e lavori forzati: un capovolgimento totale che ricorda la forma della tragedia antica, ma ancora più terribile poiché vera. Kaufman non inventa nulla: tesse nel proprio copione i verbali dei procedimenti giudiziari, le deposizioni e le arringhe, insieme con inserti poetici di Wilde, stralci di lettere sue e di Bosie, commenti dei testimoni dello scandalo giudiziario, realizzando un testo documentario di straordinario impatto emotivo.

Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, registi dello spettacolo, partono proprio da qui per i loro Atti osceni: le parole, crude, dure,  scabre nella loro tragica ineluttabilità. Parole di amore e di affetto, parole di condanna, parole giudiziarie e parole moralistiche. Il palco è ridotto all’essenziale: nero, con poche sedie nere e delle sbarre mobili, nere anch’esse. Sulla tenebra del tutto spicca soltanto quell’alta striscia con videoproiezioni, quasi un paramento liturgico che sigilla l’asse centrale dello spazio. E del resto, in quell’innocente crocifisso da farisei benpensanti c’è molto di biblico: basterà ricordare l’allestimento di Spoleto, nell’abbraccio dell’abside di una chiesa sconsacrata. Blasfemia o riscoperta del valore sacro dell’arte e dell’amore? O j’accuse, da parte di un uomo che ha già vissuto in terra l’inferno ed è incapace di pensare il paradiso, come denunciano i versi de La casa del giudizio nel finale?

Soltanto parole, dunque, ma di quelle pesanti, vivificate da un cast affiatato, in continuo movimento da una posizione all’altra, da un personaggio all’altro: spicca su tutti la straordinaria performance di Giovanni Franzoni (Oscar Wilde) intenso e tagliente, accompagnato da otto colleghi altrettanto efficaci, basterà citare il Bosie di Riccardo Buffonini o gli avvocati di Nicola Stravalaci e Giuseppe Lanino. Le luci di Nando Frigerio giocano tra il calore (quasi asfissiante) dell’aula di tribunale e la freddezza della dimensione poetica, quasi una vita altra rispetto all’infima meschinità del quotidiano. E il palco diventa subito eterno, via da quel 1895 vergognoso, vicino alle tragedie di oggi e di ieri, ai tentativi mai estirpati di soffocare la libertà dell’uomo di essere ciò che è.

Ma il successo della nuova produzione Bruni-Frongia non era scontato: il testo di Kaufman è preciso, attento, letterario anche, ma rimane un testo documentario, fatto di testimonianze, di materiali in larga parte non teatrali. Ma in Atti osceni è il poetico a prevalere, le emozioni forti. Noi spettatori veniamo informati della provenienza di ogni singola battuta, da quest’opera o da quel verbale, ma la precisa struttura delle fonti si dissolve in un incanto artistico fatto di continui salti tra vita e arte (e c’è, poi, un vero confine?) e di un ritmo in accelerando che non cede mai alla monotonia del discorso giudiziario. Davvero sul palco della sala Shakespeare dell’Elfo Puccini va in scena “la tragedia più orribile di tutta la storia della letteratura”, come ebbe modo di commentare un contemporaneo di Wilde: perché non è opera scritta, è vita, e i due registi ne sono consapevoli e rendono ogni spettatore tremendamente conscio del crimine che sta andando in scena. Lavorano per sottrazione, per individuare e potenziare l’essenziale, e ci riescono.

Non si può uscire da quella sala Shakespeare senza provare neanche un po’ di vergogna, per sé, per gli uomini. Perché gli atti osceni sono quelli del processo, anzi dei processi: nulla di osceno può esistere nell’arte, nulla nell’amore, nulla nella libertà. E dal 1895 il nuovo spettacolo dell’Elfo arriva all’oggi dell’attualità più urgente.

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