Non avevamo proprio soldi per fare questo viaggio, ma avevamo organizzato tutto, sarebbe stato triste rinunciare. Decisi a racimolare soldi in tutti i modi, abbiamo svuotato il garage di mia madre (lo sapeva, era d’accordo), recuperando un numero imprecisato di elettrodomestici, vecchi mobili, vestiti, servizi di bicchieri, videogiochi, biciclette… un servizio sgombero in piena regola, una miniera d’oro. Abbiamo venduto tutto. Ne siamo usciti con un dato sociologicamente interessante; esiste un vero e proprio fanatismo per le scarpiere usate. L’annuncio recitava: “Scarpiere componibili 5 pezzi”. Hanno scritto centosessantotto persone in meno di ventiquattro ore. Una signora scriveva addirittura dall’Ikea, chiedendomi di rispondere immediatamente poiché voleva confrontare i prezzi e prendere al più presto la decisione più vantaggiosa.
Siamo quindi sul treno che da Berlino ci condurrà in Polonia, a Kostrzyn nad Odra, dove prenderemo un treno polacco che ci porterà a destinazione. Siamo di corsa, abbiamo solamente cinque minuti per il cambio. La stazione è piccola, i due binari principali sono occupati da altri treni, non ci sono tabelloni né indicazioni da nessuna parte. Chiediamo a chiunque ci capiti davanti. Si fermano in quattro, non si conoscono, non parlano inglese, capiscono un poco di russo, rispondono in polacco. Con gesti molto espressivi, alzando la voce, ma sempre in polacco, ci indicano un binario secondario, oltre un sottopasso, dal quale partono i treni più piccoli diretti a nord. Saltiamo sul mezzo in corsa mentre si chiudono le porte. Fortunatamente avevamo fatto il biglietto online. 50% di sconto studenti su qualsiasi tipo di biglietto, una meraviglia. Il controllore guarda il biglietto con aria diffidente, ci guarda e guarda il biglietto, tenta di inquadrarci e afferma severo: Legitymacja. Estraggo la carta d’identità, il passaporto, la patente e finalmente la tessera Unimi. Rimane sul severo, ma visibilmente divertito. Dice che lo sconto è solo per studenti polacchi, ma non ne è sicuro. Chiama un collega. Sono bassi e tozzi, con le facce molto rosse, uno ha pochi capelli, l’altro due folti baffi. Tentano di spiegarci la situazione, non si parlano tra loro, non si guardano, fanno considerazioni, come parlassero alla macchinetta dei biglietti, che il primo ha prontamente estratto dalla borsa. Dunque uno dice una cosa, guarda la macchinetta, il secondo dice un’altra cosa, guardando costantemente la macchinetta. È surreale, ricordano Pincopanco e Pancopinco di Alice nel paese delle meraviglie. Peraltro la scena è continuamente interrotta dalle ricorrenti fermate nella campagna polacca. Uno scende a destra, l’altro a sinistra, e poi per strade diverse tornano sempre a noi. Alla fine ci fanno pagare la differenza, ci salutano e continuano il loro giro biglietti. In poco più di mezz’ora arriviamo a Dolna Odra.
La nostra prima tappa è la foresta di Gryfino, conosciuta come Krzywy Las o Crooked Forest. La Foresta Storta è un bosco di pini piantato negli anni Trenta del secolo scorso. Deve il nome al fatto che un folto gruppo di alberi presenta una grande curva alla base prima di continuare lo slancio verticale. La piega raggiunge anche i novanta gradi di inclinazione, tutte le pance sono rivolte a nord. Ci sono varie leggende riguardo le cause della deformità degli alberi. È stata ipotizzata una malattia genetica, una spinta gravitazionale o una fortissima nevicata. L’ipotesi più probabile è però quella della scultura ad arte nelle prime fasi di crescita, che si praticava per ottenere legname già pronto per i mobili. Dolna Odra: lo scenario è molto diverso da come ce lo aspettavamo. Siamo gli unici a scendere. Non c’è nulla, solamente un sentiero sterrato che passa di fianco a una grande centrale elettrica. Dall’altra parte case in rovina e una vecchia roulotte convertita ad abitazione. Inizia a piovere. Decidiamo di seguire il sentiero. Nel giro di pochi minuti si scatena il temporale più forte che abbia mai visto, una tempesta di fulmini proprio sopra la centrale elettrica. Arriviamo di corsa alla strada asfaltata, troviamo riparo sotto la pensilina del bus. Attendiamo circa quaranta minuti, fradici per via del vento e delle infiltrazioni. Sembra smettere. Navigando in pozzanghere terrose cerchiamo di raggiungere la nostra meta. Facciamo appena in tempo a vederla che ricomincia a piovere. Una foto documenta l’impresa. Ci cambiamo in treno. Siamo a Szczecin.
Szczecin è la settima città della Polonia, secondo porto più grande del paese. A lungo parte della Prussia, ne conserva lo stile architettonico. La città è molto carina, molto tranquilla. La piazza principale, con municipio e città vecchia, è un piccolo gioiello. Per strada ci ferma una signora sui settanta, ha visto la patch sul mio zaino, ci si rivolge in russo. Ci chiede da dove veniamo, ricorda felice gli anni Ottanta, quando abitava a Mosca e ogni settimana andava a ballare col suo gruppo di amici. Il centro non è grande, un filo rosso dipinto guida i visitatori a piedi nei maggiori punti di interesse della città. Degni di nota, oltre alla già citata città vecchia, la basilica di San Giacomo, il castello e la terrazza sul fiume Oder, Wały Chrobrego. Scopriamo inoltre che Szczecin è la città natale di Caterina II la Grande. Sulla terrazza mangiamo un ottimo żurek w chlebie z kiełbasa, una zuppa di farina di segale, legumi e patate, con carne di maiale, uova sode e funghi, servita in una michetta di pane. Ottima. Soggiorniamo in un monolocale al quarto piano di un condominio che dà su un cortile. Ricorda molto i tipici cortili russi, sorta di universo a parte, città nella città. L’appartamento non è male, le lenzuola sembrano molto molto usate. Anche stavolta abbiamo comprato il biglietto del treno in anticipo. Completamente in polacco, data e ora non sono riportate. Decidiamo di sincerarci della validità del biglietto. Manca un quarto d’ora alla partenza, la coda alle casse è interminabile. Io prendo posto nella coda regionali, Alice in quella intercity. Arrivato il mio turno, scelgo lo sportello con la cassiera più giovane, pensando possa essere la più propensa ad aiutarmi. Non mi hanno mai trattato peggio. Si rifiuta di parlare inglese, si rifiuta di parlare russo, e quando tento di passarle il biglietto per ottenere almeno un sì/no mi caccia via. Per fortuna un ragazzo parla inglese. Scopriamo che il nostro non era un biglietto, ma una ricevuta di rifiutato pagamento. Lo ringraziamo, rifacciamo il biglietto, corriamo, partiamo.
Arriviamo a Lebork nel tardo pomeriggio, prendiamo l’ultimo treno per Łeba, piccola cittadina sul mare. Non riusciamo a trovare l’ostello. Percorriamo più volte avanti e indietro Ulica Kopernika, ma non c’è effettivamente nulla che possa sembrare un albergo. Ci sediamo davanti a un fornaio, ci viene un’illuminazione; la nostra guesthouse si chiama Bed ‘n bread. Entro. Il forno è piccolo, ma ben fornito. Le quattro vetrine traboccano di pirozhki ripieni di cavoli, carne, spinaci e formaggi, dolci tipici e sfortunati tentativi di pizze e pizzette. Michette, pane all’uovo, bagels e ciambelle di pane riempiono gli scaffali a muro. Al bancone una signora vagamente simile a mia nonna. Vista l’impossibilità di comunicare, le mostro il telefono con la prenotazione. Annuisce, urla qualcosa di incomprensibile. Dal laboratorio, sporca di farina dappertutto, arriva Galina. Mi stringe la mano, infarinandomi. È ucraina, parla russo dice che è tutto ok e chiede di aspettare un attimo. Scompare quindi in laboratorio. Dopo qualche minuto entra dalla porta principale, dunque dalla parte opposta al laboratorio, alle nostre spalle, un altro tipo, anche lui completamente vestito di bianco e completamente infarinato. Muscoloso e con una maglietta molto molto attillata, mi dà una forte stretta di mano, infarinandomi di nuovo. È convinto che io sia russo, non parla russo, sa dire solo una parola: Russkij. Per tutto il tempo mi si rivolge allora urlando solamente “Riiicaaaaardo, Ruuuusskij!!” Urlando ci accompagna, attraverso il parcheggio sterrato fin dietro il laboratorio, alla nostra stanza, ultima di sei in un prefabbricato. Ci fa entrare, rimanendo sulla porta, è un piccolo monolocale con bagno. Indica ed esclama: “Tv… Fridge… Good night!”, sbatte la porta e se ne va. Non c’è nient’altro. No carta igienica, no asciugamani, no phon, niente di niente. Tv e frigorifero. Priorità.
La cittadina è meta di molti turisti, soprattutto polacchi e tedeschi. Talvolta tocca livelli molto elevati di trash, come nella sala slot casinò, Las Łebas, nella possibilità di far la foto con un finto blindato dell’esercito russo, nei pick-up delle discoteche che girano con musica commerciale anni 2000 e ragazze immagine che ballano. Vi è una grande spiaggia di sabbia fine sul Baltico. Sulla spiaggia domina il bar Copacabana. Nei ristoranti della città è possibile mangiare pesce sempre freschissimo. Da ricordare la zuppa di pesce tipica, involtini di cavoli ripieni di pesce e pierogi, anch’essi ripieni di pesce. Il vero motivo per cui siamo venuti a Łeba è però il Parco Nazionale Slowinski, dove è possibile ammirare vere e proprie dune di sabbia. L’ingresso del parco si trova a pochi chilometro dal centro della città. Una volta entrati bisogna percorrere circa sei chilometri fra i sentieri di un bosco di conifere, prima di trovarsi davanti a Wydma Łacka, la prima delle dune, alta quarantacinque metri. Arrivati in cima, il vento è molto forte, il colpo d’occhio incredibile. Sembra un piccolo deserto in fronte al Baltico. È possibile vedere le altre dune, il mare e il lago Lebsko. Le dune, dette dune mobili per il loro lento spostarsi continuo, sono il risultato del processo di erosione della roccia spinta poi da onde e vento verso l’interno. Il tutto è stato accelerato dalle pratiche di deforestazione che hanno provocato la scomparsa degli alberi che bloccavano l’avanzamento della sabbia. La duna sulla quale ci troviamo prende il nome dal villaggio di Łacka, coperto dalla sabbia circa trecento anni fa. Scendendo dalla parte della spiaggia si crea una vera e propria terrazza sul mare. Facciamo il bagno nel Baltico, freddo nonostante l’agosto inoltrato, e rientriamo camminando sei chilometri sulla spiaggia. È possibile qui osservare l’inizio del processo, la caduta degli alberi nel momento in cui le radici si trovano immerse nella sabbia. Ha un che di angosciante, è molto affascinante. Il paesaggio toglie il fiato.
Il giorno della partenza per Gdynia il treno di collegamento Łeba Lebork non passa. Due autisti riescono a far entrare in due marshrutke tutti coloro che aspettano il treno, noi compresi, con tutti i loro bagagli. Dopo un’ora di rally spericolato nel miniautobus arriviamo alla stazione di Lebork, dove scopriamo che tutti i treni della Polonia quel venerdì sono soppressi o ritardati. Al bar della stazione non prendono la carta, pranziamo con un tè al gelsomino, in due. Riusciamo ad arrivare a Gdynia nel pomeriggio. Di fronte alla stazione centrale incrociamo il monumento agli sfollati di Gdynia, ricordo di coloro che abbandonarono la città dopo l’invasione nazista del 1939. Il momento dell’abbandono è evocato in maniera semplice e straordinariamente espressiva. Colpisce nel profondo.
Gdydna è un’importante città marittima, una delle città più giovani della Polonia. Con Sopot e Danzica costituisce la Città Tripla, centro culturale e portuale della Polonia del nord. Visitiamo il porto e le vie del centro, mangiamo un pasticcio di patate in un fast food con monocucina a tema patata e ci rilassiamo in spiaggia, nonostante una leggera pioggia. La spiaggia è frequentata soprattutto da famiglie, molti bambini fanno il bagno. Dall’altra parte c’è però un grande assembramento per assistere alle gare di triathlon che designeranno il nuovo Ironman. Non ci fermiamo molto, il nostro treno riparte nel tardo pomeriggio. Andiamo a Sopot, dove passeremo la notte. La cittadina è una dei centri turistici più importanti ed esclusivi del Baltico. Una lunga promenade pedonale conduce dalla stazione alla spiaggia. Dappertutto vi sono negozi di vestiti e accessori, supermercati, bar e ristoranti. La via finisce nella piazza Przyjaciol Sopotu, dove accanto agli hotel di lusso brilla il palazzo dalle grandi vetrate della State Gallery of Art, il più importante museo di Sopot. Attraversando la piazza, lasciandosi alle spalle il museo, si giunge in piazza Zdrojowy, dove i giochi d’acqua della fontana centrale introducono al molo in legno più lungo d’Europa, che si sporge nel Baltico per circa 500 metri. A Sopot è possibile trovare ristoranti e bar di ogni tipo, decidiamo dunque di provarne alcuni. Ci perdiamo tra degustazioni di birra, fette di torta nel bar più hipster della città e tè caldo alle erbe in quello più tradizionale.
Danzica. Abitiamo un appartamento centralissimo, davvero tanto grande per due persone. Siamo capitati proprio nel periodo della fiera di San Domenico, e tutte le vie del centro sono piene di bancarelle di ogni genere. La fiera è il più antico evento commerciale e culturale della Polonia, la sua tradizione risale circa al 1200. Accanto al cibo, presente dappertutto, trovano posto bancarelle di artigiani e arte popolare, di vestiti e gioielli, dove è possibile trovare l’ambra baltica. Danzica è città vivace e viva, sempre in movimento. I turisti sono moltissimi, da ogni parte del mondo. Nella città è visibile la forte identità polacca, mista a influenze prussiane, russe e olandesi. Camminare per le vie del centro, in particolare per Glowne Miasto, la Città Grande, e Stare Miasto, la Città Vecchia, è molto affascinante. Non si può non rimanere colpiti dalle case in stile gotico, rinascimentale e barocco della Strada Lunga, Ulitsa Dluga, e dalla magnificenza dei palazzi della Piazza del Mercato Lungo, Dlugi Targ, la piazza più famosa della città. I palazzi visibili oggi sono ricostruzioni successive alla seconda guerra mondiale, quando gran parte degli edifici della città, in seguito all’occupazione nazista e alla riconquista sovietica, erano andati distrutti. Importante polo culturale, Danzica ospita numerosi musei e teatri, tra cui il museo della Seconda Guerra Mondiale, iniziata proprio con l’occupazione di Danzica da parte dell’esercito nazista nel settembre 1939, e il Teatro Shakespeariano, progetto dell’italiano Renato Rizzi, che sorge dove sorgeva l’originale teatro di Shakespeare, più volte ospite a Danzica con la sua compagnia nel XVI secolo. Negli ultimi giorni continuiamo a condire i nostri giri con la degustazione delle specialità polacche. Tra le tante, aringhe in panna acida, pierogi, i tipici ravioli polacchi, ripieni di ogni tipo di carne e verdure, e zapiekanka, street food che consiste in una baguette ripiena di funghi, formaggio, sale, pepe, burro e salse, passata in forno. Un pranzo particolarmente sfortunato è quello in una stolovaja, mensa, consigliata dai locali, dove provo una terribile zuppa fredda a base di barbabietole che non augurerei a nessuno. Particolare, da vedere, è il quartiere di Zaspa. Zaspa è un quartiere popolare, lontano dal centro, costituito da palazzoni di cemento grigio in stile sovietico anni Settanta. Riqualificato da numerosi artisti a partire dalla fine degli anni Novanta, è oggi una gigantesca galleria d’arte a cielo aperto, con moltissimi murales dipinti sulle facciate dei vecchi palazzoni.
Tornati in città per l’ultima sera ci concediamo l’ultima birra su un terrazzino in una delle vie più pittoresche della città, Mariacka Ulica, ricostruita in stile vittoriano. Rientriamo a Milano in un tardo lunedì sera, caldissimo, stanchi ma consapevoli di aver visto posti insoliti, per certi versi incredibili, e ringraziando di essere vivi dopo il peggior viaggio in aereo della nostra vita.
2 pensieri su “Berlino-Danzica, viaggio in treno sul Baltico polacco”
bravi !e!!! E’vero che per scrivere e descrivere un viaggio bisogna farlo di persona . leggerlo sembra partecipare ! tanto bene avete descritto il tutto Complimenti !!!!!!!
Interessante ed affascinante. Grazie !