Oscar Wilde: Reviews, Dinners and Dishes

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Wilde nacque a Dublino nel 1854 e, prima di vincere la borsa di studio che lo portò a studiare a Oxford, studiò al Trinity College. Durante gli anni di studio a Oxford si avvicinò particolarmente all’aesthetic movement, nato da un’intuizione di Walter Pater (sviluppata nel suo libro Renaissance), che esercitò una grande influenza su Wilde nel corso della sua vita. Sempre durante questi anni il suo carattere prese la piega insolente e stravagante che poi andò a caratterizzare il suo stile di scrittura e di vita. Dopo essersi laureato il giovane Oscar si trasferì a Londra dove negli anni tra il 1878 e 1881 stabilizzò la sua reputazione provocatoria ma raffinata di aestethic young man. Iniziò così a vestirti in modo molto stravagante attirando ovviamente l’attenzione di tutti. Finì così per crearsi una visione dicotomica del giovane: da una parte gli scrittori oramai affermati dei circoli letterari londinesi ne avevano una bassa considerazione, tanto che Ruskin stesso, che era stato suo professore a Oxford, lo considerava uno dei suoi più grandi fallimenti; dall’altra parte alcuni giovani vedevano in lui un faro nella notte. Questi ,tuttavia, non avendo nessuna autorità e molta paura di esporsi, rimasero degli ammiratori silenti di fronte alle critiche che Wilde continuava ad attirare.
Porremo qui particolare attenzione al dandy non ancora affermato, al Wilde come critico della testata “Pall Mall Gazette”, un giovane uomo dal grande talento che però non veniva ancora preso sul serio. Ci concentreremo in particolar modo sulla raccolta di Reviews che un grande estimatore di Wilde, Robert Ross, si prese la briga di raccogliere e pubblicare nel 1908. Nella sua introduzione Ross spiega le motivazioni che lo portarono a pubblicare la raccolta, tra le quali si evidenzia un interesse nel seguire lo sviluppo del giovane talento dello scrittore. Ross testimonia che «Wilde è una forza ancora più grande di quanto i nostri cari contemporanei abbiano mai potuto immaginare». L’editore della raccolta aggiunge anche un suo personale commento: «Io credo che questo volume si dimostrerà di interesse inusuale. Alcune delle recensioni sono curiosamente profetiche, alcune sono, ovviamente, caratterizzate dal pregiudizio a volte ostile e altre amichevole, mentre altre ancora sono state concepite dallo scrittore con una vena delle più ispirate e felici; sono rare quelle prive di colore».

La raccolta si apre con la recensione di Dinners and Dishes, (7 marzo 1885) un libro di cucina pubblicato dalla casa editrice Simpkin and Marshall da un certo “Wanderer” (chiaramente uno pseudonimo).
La recensione inizia con una citazione di Baudelaire, che dimostra i gusti ricercati dello scrittore: si tratta di una sentenza un poco pretenziosa se inserita nella recensione di un libro di cucina. La citazione baudelairiana viene paragonata a una citazione dell’autore stesso il che crea una sorta di parallelismo tra arte e cucina che viene sfruttato più volte nel testo. Evidente è anche la critica alla società inglese a volte velata, altre meno, che Wilde sfodera in maniera quasi inconscia ma che dimostra senza ombra di dubbio la sua visione da outcast dalle origini irlandesi. Molto godibile è l’ironia frizzante e fresca utilizzata per amalgamare il tutto: Wilde ci appare così quasi contemporaneo. Ed è proprio l’ironia che fa trapelare tutto il carisma di questo giovane uomo che non riesce propro a contenersi. In fondo il talento, se è davvero presente, riesce a trapelare anche in una “banale” recensione di un libro di cucina.

Dinners and Dishes

Un aforisma di Baudelaire dice: “Un uomo riesce a sopravvivere per tre giorni senza pane, ma nessun uomo può sopravvivere senza poesia per un giorno intero”.
“Si può vivere senza quadri e musica, ma non si può vivere senza mangiare”, è invece quello che dice l’autore di Dinners and Dishes; e quest’ultima visione è senza dubbio la più diffusa. Chi, d’altronde, in questi giorni di decadenza esiterebbe di fronte alla scelta tra un’ode e un’omelette, un sonetto o il ragout? quest’ultima visione non è in realtà così ostile nei confronti della cultura come potrebbe sembrare; cucinare è un’arte: non è forse vero che i principi della cucina sono il soggetto delle letture di South Kensington, e non è forse vero che la Royal Accademy da un banchetto una volta all’anno? Inoltre, dato che con il prossimo avvento della democrazia, insisteranno, senza dubbio, nel nutrirci con cene da due soldi, è bene che le leggi della cucina vengano spiegate. Pensate se per caso il piatto nazionale bruciasse, non fosse ben condito oppure fosse servito con la salsa sbagliata; sicuramente ne seguirebbe una terribile rivoluzione.
Date queste circostanze raccomandiamo vivamente a tutti voi Dinners and Dishes: è breve, conciso e non presenta tentativi di eloquenza, il che è una fortuna.
Anche se sull’ortonano1 chi potrebbe sopportare la retorica?
Questo libro ha anche il vantaggio di non essere illustrato. Il soggetto di un’opera d’arte non ha, di certo, nulla a che vedere con la sua bellezza, però c’è sempre qualcosa di deprimente nel vedere una litografia colorata di una zampa di montone.
Per quanto riguarda i particolari punti di vista dell’autore, noi concordiamo pienamente con lui sull’importante questione dei maccheroni.
“Mai” lui dice “chiedermi di avallare una cambiale per un uomo che mi serve un pudding di maccheroni”. I maccheroni sono essenzialmente un piatto salato, e dovrebbero essere serviti con il formaggio o i pomodori, ma mai con lo zucchero e il latte.
Vi è anche un’utile descrizione su come cucinare il risotto (un piatto delizioso che si vede raramente in Inghilterra); un eccellente capitolo sui vari tipi di insalata, che dovrebbe essere studiato con molta attenzione dalle tante padrone di casa la cui immaginazione non è mai andata oltre a lattuga e barbabietola, e in fine una ricetta per rendere i cavoletti di Bruxelles commestibili. L’ultimo è ovviamente un capolavoro.
La vera difficoltà che tutti noi dobbiamo affrontare nella vita non è tanto l’arte della cucina quanto la stupidità dei cuochi. E in questo piccolo manuale che introduce a un approccio pratico all’epicureismo, la tiranna della cucina inglese viene messa sotto la luce giusta. La sua totale ignoranza per quanto riguarda le erbe, la sua passione per gli estratti e le essenze, la sua incapacità totale di cucinare una zuppa che non sia che una combinazione di pepe e sugo, la sua abitudine incallita di combinare poltiglie di pane e fagiani; tutti questi peccati e molti altri vengono smascherati crudelmente dall’autore. Spietatamente e giustamente. Perché la cuoca britannica è una donna stupida che dovrebbe essere trasformata, a causa delle sue ingiustizie, in una statua di sale, quel sale che non sa mai come usare.
Ma il nostro autore non si limita alla cucina locale. È stato in molti posti: ha mangiato il back-hendl2  a Vienna e il kulibatscha San Pietroburgo; ha avuto il coraggio di affrontare la costoletta di bufalo della Romania e di cenare con una famiglia tedesca all’una di pomeriggio. Ha una seria visione su quale sia il giusto modo per cucinare quei famosi tartufi bianchi di Torino dei quali Alexander Dumas era tanto ghiotto; e alla faccia dei fanatici dell’Oriente dichiara che il curry di Bombay è migliore di quello del Bengal. In effeti sembra aver avuto esperienze con qualsiasi tipo di pasto, tranne con il “square meal4 americano. Questo dovrebbe studiarlo a parte. C’è una grande settore epicureo-filosofico negli Stati Uniti. I fagioli di Boston dovrebbero venir una volta per tutte dichiarati una delusione, pero i granchi dal guscio morbido, le testuggini, i moriglioni dorsotelati, il pesce azzurro (o pesce serra) e il pompano di New Orleans sono tutte fantastiche prelibatezze, in particolar modo se mangiate al Delmonico’s. Infatti i due posti più degni di nota degli States sono senza dubbio il Delmonico’s e la valle di Yosemite; e quest’ultima ha fatto più per promuovere un rapporto di amicizia tra Inghilterra e America che nessun altro in questo secolo. Speriamo che il “viandante” si rechi presto anche lì e che aggiunga un capitolo a Dinners and Dishes, e che questo libro eserciti in Inghilterra l’influenza che merita. Esistono 20 modi per cucinare una patata e 365 modi per cucinare un uovo, fin ora il classico cuoco britannico conosceva solo tre modi per rendere ridicoli entrambi.

1. L’autore si riferisce all’ ortolan bunting ovvero un piccolo usignolo che viene considerato come una prelibatezza.
2. Piatto a base di pollastro impanato e fritto
3. Kulitsch, dolce tradizionale russo che viene preparato per la Pasqua ortodossa.
4. “Onesto piatto” in senso ironico

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