Il parassita

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Suonano alla porta. È buio ma è già mattina; vedo la luce che filtra attraverso le persiane. Mi devo essere addormentato sul divano un’altra volta. Ultimamente non ho la forza di salire le scale fino alla camera da letto.
Pare abbiano smesso di suonare; no non è vero, eccolo. Non sopporto quel suono. Avevo chiesto a Viola di cambiarlo diverse settimane fa. Probabilmente se ne è scordata, quella scansafatiche.
Eccolo ancora. Quando la smetteranno? Non andrò ad aprire, chiunque sia. Lasciatemi in pace.
Ho bisogno di stare tranquillo per un po‘ senza seccatori tra i piedi. Negli ultimi tempi ho avuto la sensazione che la mia vita mi si stringesse sempre di più attorno al collo, al punto da togliermi il fiato.
Dell’azienda se ne occuperà Mario in mia assenza. Speriamo non si faccia prendere la mano. A volte è fin troppo zelante. Ma in fondo mi fido, sennò non gli avrei lasciato le redini, no? Al mio ritorno tutto sarà come l’ho lasciato, sì, ne sono certo. Ho solo bisogno di riposarmi per qualche tempo.
Chiara mi è stata col fiato sul collo tutta la settimana; il suo perfezionismo ossessivo e il voler controllare tutto: probabilmente sono queste le cause del mio male. Fortunatamente la festa per il fidanzamento è stata un successo: tutti gli invitati sono venuti a farci i complimenti per la serata; effettivamente il buffet era sfizioso e ben presentato, il servizio efficiente e la location da sogno. Non poteva che andare così.
Suo padre mi è sembrato felice e di buon umore; mi ha fatto conoscere tanti possibili clienti. Che sia questo il suo regalo per il nostro fidanzamento? In effetti non pensavo sarei mai riuscito a rilanciare a questi livelli la vecchia azienda di famiglia. Non avevo successo nel lavoro ormai da anni. Tutto merito di Chiara e di suo padre; è solo grazie a loro se mi sono ripreso dopo essere tornato da Vienna.
Mi manca quella città, le sue vie, la sua musica, le sue persone. Chissà dove sarà Flavio…
Un vero mentore e amico. L’attenzione al dettaglio: questo è stato il più grande dei suoi insegnamenti. Insieme, io e lui, in società, passammo tre anni ricchi di successi e soddisfazioni. Sapevo di dovergli tutto e non perdevo occasione per dimostrarglielo. Lui, invece, non perdeva occasione per rimproverare il mio atteggiamento, e mi diceva di comportarmi come lui, se volevo combinare qualcosa di buono. Aveva ragione, come sempre, e fintanto che mi è stato accanto volevo sempre più assomigliargli.
Alla fine ci scambiavano per fratelli; in effetti era come se lo fossimo. Non solo nel vestire e nel curarci, ma anche nel parlare e nelle movenze. Molte di queste cose le feci mie senza accorgermene, per altre invece me ne resi conto troppo tardi.
Se solo fossi stato più indipendente!
È bastato un attimo per far crollare tutto il mio castello. Una mattina mi svegliai e vidi che lui non era a letto. Mi alzai a cercarlo per la casa, ma non di Flavio non vi era traccia. Pensai immediatamente che gli fosse successo qualcosa; sono sempre stato un tipo ansioso, ma non vederlo quella mattina mi fece entrare in una vera crisi. Ero certo che non avesse impegni per quella mattinata poiché dovevamo andare insieme ad una riunione. Ci andai da solo, andò tutto bene, ma dentro di me, avvertivo una crescente instabilità. Si fece sera, in quella giornata d’autunno, senza sue notizie. La notte non riuscii a dormire. Lo aspettai seduto in soggiorno fissando il vuoto e tendendo l‘orecchio ad ogni singolo rumore, nella speranza di sentire la porta di casa aprirsi, ma quella notte, non girò alcuna chiave nella serratura. La mattina successiva ero allo stremo delle mie forze fisiche e mentali. Ripensando alle chiavi mi misi a guardare tra le sue cose: le aveva lasciate nell’appartamento e con quelle la maggior parte dei suoi effetti personali. Non aveva preso molti soldi, e questo mi diede speranza per un po’: pensavo che prima o poi i soldi sarebbero finiti e sarebbe dovuto tornare a casa in cerca di rifugio; in cerca di me. Per qualche tempo riuscii a nutrirmi di questa convinzione, mentre, lentamente, la mia vita si sbriciolava pezzo dopo pezzo. Decisi di rinchiudermi in casa ad aspettarlo. Mi ero convinto che se non fossi rimasto a casa lui non sarebbe potuto entrare senza le chiavi; mi sembrava la cosa più logica da fare.
Ho vissuto come recluso per circa due settimane, ma di Flavio nessuna notizia. Rispondevo al telefono gridando il suo nome, sebbene puntualmente non fosse lui. Da casa provavo a gestire l’azienda senza grandi successi. Dopo la fuga di Flavio tutto pareva dovesse andare in malora, e infatti fu così. Nel giro di pochi mesi eravamo in totale inattività. Nessun guadagno con forti perdite. Resomi conto del fallimento imminente, decisi di vendere tutto. Sfruttai il ricavato per andare in cerca di lui. Tutt’oggi non mi è chiaro il perché di questa decisione sconsiderata che mi costò non solo ingenti perdite in denaro, ma anche affettive.
Senza Flavio io ero divenuto inerme e debole. Ogni rapporto umano mi dava l’impressione di essere un’immensa montagna invalicabile; di conseguenza diventai sempre più arrendevole. Ogni volta che cambiavo città per cercarlo, il mio cuore si riempiva di speranza; una volta arrivato questa rapidamente scemava, lasciando spazio alla disperazione. Così facendo viaggiai per mezza Europa senza alcun risultato. Tutto quello che ero diventato lentamente svanì, ed io tornai ad essere il vecchio e fallito Marcello Struzzi.
I mesi passarono grigi uno dopo l’altro. Una mattina del mese di settembre, dopo quasi un anno che Flavio se n’era andato, mi risvegliai in una camera di un hotel scadente ad Helsinki, e per la prima volta, dopo tanto tempo, non allungai la mano per controllare se lui fosse sdraiato accanto a me. Avevo finalmente realizzato che lui se n’era andato e che non sarebbe più tornato. Decisi che era ora di tornare a casa: non a Vienna, quella città non aveva più nulla da darmi, ma a Milano, la mia città natale. Presi il primo treno con l’intenzione di non guardarmi più indietro e con il proposito di rincominciare a vivere senza di lui.
Tornai nella vecchia casa dei miei genitori. Era rimasta vuota per anni ed era malconcia, ma in quel momento era l’unico posto che potevo chiamare casa. Così decisi di rincominciare dalle mie radici. Quando partii per Vienna volevo tagliare tutti i ponti con il mio passato; adesso cercavo disperatamente di recuperarlo. Avevo ancora bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi.
Riuscii a mettere nuovamente in moto la vecchia azienda di famiglia con i pochi soldi che mi erano rimasti. Questo fu l’inizio della mia timida rinascita. Mai prima di allora il nome di Marcello Struzzi aveva avuto un bel suono alle mie orecchie.
Durante lo stesso anno conobbi Chiara. La incontrai ad una cena di beneficenza; io non avevo ancora il becco di un quattrino ma mi ci intrufolai per andare alla ricerca di investitori. Non fui io a fare il primo passo, ma fu lei. Capì subito che ero un pesce fuor d’acqua, ma mi diede una mano, forse le facevo pena, chissà. Da quel giorno abbiamo iniziato a frequentarci. Non credo di amarla e dubito che mai ci riuscirò, però si prende cura di me, mi è stata vicina quando più ne avevo bisogno, e suo padre mi sta aiutando. Sì, penso proprio che la sposerò; mi sono abbastanza affezionato a lei.
Che ore si sono fatte? Le cinque del pomeriggio. Ho davvero passato tutta la giornata a ricordare? Il tempo mi è come scivolato addosso. O forse mi sono appena svegliato ed era tutto un sogno? Devo alzarmi e fare qualche passo, così magari mi riprenderò.
Hanno suonato alla porta. Avevo detto a Viola di cambiare quel campanello; ha un suono orrendo.
«Viola! La porta!». Nessuna risposta.
Già me ne ero scordato! L’ho mandata via. Va bene, allora la aprirò io. Questo isolamento mi sta facendo rimbecillire; non potrà farmi che bene parlare con qualcuno, no?
E se aprissi la porta e dietro ci fosse Flavio? Come reagirei? Potrei abbracciarlo piangendo, oppure scagliarmi contro di lui e massacrarlo di botte. Le farei entrambe con grande gioia; una sarebbe dimostrazione di ciò che provavo, e l’altra di ciò che provo ora.
A Vienna mi ero legato a Flavio e gli sono stato vicino più che ho potuto, sino a diventare come lui. Mi sono appoggiato lui, ma venuto meno il mio sostegno sono caduto in disgrazia. Adesso, dopo qualche anno, mi sono legato a Chiara e alla sua famiglia; sposandomi con lei avrò di che vivere per anni, fino alla fine dei miei giorni.
Solo ora mi rendo conto di ciò che realmente sono: se ho cercato Flavio per mezza Europa, se mi sono disperato così tanto, non era perché io lo amassi, ma perché avevo fame; come un parassita che si è legato a lui e l’ha sfruttato più che ha potuto per il proprio sostentamento. Adesso mi sto nutrendo di Chiara e della sua famiglia. Tutto ciò che ho, tutto quello che ho costruito, non l’ho fatto io, non è mai stato merito mio; mi sono sempre appoggiato a qualcuno. Persino questa casa non l’ho costruita io; era dei miei genitori, e l’azienda pure. Ecco cosa sono: un fallito, un inetto; un debole che non riuscirà mai a vivere senza usare qualcuno.
Non aprirò quella porta; non aprirò più quella porta a nessuno.

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