Bambini di ferro

Pubblicato il Pubblicato in Critica, Letteratura

Sono due i fili che si intrecciano a formare l’ultimo romanzo di Viola Di Grado: Bambini di ferro (La nave di Teseo, aprile 2016).
Due fili che scorrono ora paralleli, ora attorcigliandosi, sempre funzionali l’uno all’altro, allontanandosi giusto il tempo di un salto nello spazio e nei secoli; aggiungendo sempre una pennellata in più a questa storia che affonda le sue radici nell’ancestrale Kushinagar indiano, giungendo a sfiorare il cielo di un Giappone prossimo, dal sapore dispotico; intrecciandosi saldamente e sottilmente a esso. Storia che aspetta di essere dipanata dal lettore, dopo aver raccolto gli indizi oscuri di cui il libro è disseminato.
Bambini di ferro racconta una storia antica e naturale, che recupera i principi cardine del Buddhismo, che vena di spiritualità e immensità una storia invece futura, costruita su circuiti e connessioni che danno l’input alla vita di Yuki, in un accostamento spiazzante dall’impatto vertiginoso. Nella narrazione seguiamo entrambi i fili, osserviamo la realtà con due occhi diversi eppure così simili tra loro: quelli tranquilli di un Buddha, che è in tutto e in niente, che si innalza e osserva il mondo nel ciclo della vita mantenendosi distaccato, pur partecipandovi tanto nella nascita quanto nella morte; quelli inquieti di un’issendai, segnata sin dall’infanzia da un errore non suo, che si impone di seguire una normalità che non le appartiene.
Viola Di Grado tira questi fili, componendo il tessuto malato di un’ipotesi altamente probabile: la tecnologia potrebbe arrivare a contaminare anche il rapporto più puro, profondo, antico e potente che il genere umano possieda, il legame tra madre e figlio. L’autrice fa crescere questa piega, la rinforza, una pagina alla volta, per dare il tempo di far crescere nel lettore una viva consapevolezza. Matura così in noi il pensiero che un sano distacco, come quello del Buddha Sakyamuni, potrebbe evitare che la nostra quotidianità in ogni suo aspetto marcisca lentamente, decomponendosi sotto il nutrimento malsano della fallace illusione di perfezione.

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