“Due cose belle ha il mondo: amore e morte”-Giacomo Leopardi
«Come stai oggi?»
«…leggermente intontito…i nuovi farmaci mi fanno dormire di più ma faccio fatica a concentrarmi; ieri non sono riuscito a leggere niente.»
«È normale, ti devi ancora abituare. Vedo che non hai mangiato praticamente nulla, lo stomaco ti da ancora dei problemi?»
«Non mi da più problemi del solito, semplicemente non ho molta fame.» Se mangiassi un’altra volta quella robaccia che spacciano per cibo credo potrei impazzire! Dopo queste settimane dovresti aver capito che mi fanno schifo i pasti che mi servite qua; ci sono dei momenti in cui rimpiango la flebo. Ah ecco, brava, portalo via e vattene al più presto; oggi proprio non mi va di parlare con te.
Ormai conosco Gabriella da quasi un mese. È una donna fin troppo loquace per i miei gusti. Ci vediamo per pochi minuti al giorno ma credo siano i più frustranti della mia noiosa giornata. Anche stamattina è entrata col sorriso stampato sulla sua faccia da beota senza cervello; chissà se oggi riuscirò a strapparglielo via; è la mia missione quotidiana.
Come ogni giorno è entrata nella stanza urlando un fragoroso “Buongiorno!” falso almeno quanto il colore dei suoi capelli; Dio quanto la detesto! Ma quello che più odio non è la sua presenza di prima mattina nella mia stanza, no, quella posso sopportarla o al limite ignorarla; ciò che più detesto è la danza meccanica che compie ogni giorno: quando entra inizia controllando i macchinari, non ho idea a cosa servano o come funzionino, ma se una donna stupida e ignorante come lei ci capisce qualcosa devono essere per forza molto intuitivi. Dopo, con una certa malizia, controlla le lenzuola; durante la mia lunga degenza in questa fredda prigione dalle pareti bianche c’è stato un periodo in cui bagnavo il letto, è inutile dire che la cosa mi paralizzava dall’imbarazzo, quindi cercavo di nasconderlo senza dire niente; solo perché sto qua, senza mutande, non vuol dire che debba rinunciare alla mia poca dignità rimasta! Da quando si scoprì il mio segreto Gabriella ogni mattina controlla le mie lenzuola; lei sa bene che sono settimane che non mi capita più, ciò nonostante compie sempre la sua ronda come se volesse ricordarmelo. Questa è stata la mia più grande umiliazione, e nel suo quotidiano controllare Gabriella è come se mi volesse ricordare qual è il mio posto in questo ambulacro della morte.
Successivamente controlla la mia cartella clinica, ed è qui che dubito seriamente della sua professionalità; il dottore quando arriva per il giro visite prima rivolge la parola alla cartella e poi a me; la cartella è molto più affidabile, io mento, la cartella no.
Ecco pare abbia finito la sua quotidiana danza macabra nella mia stanza, ora è pronta per iniziarne un’altra dal mio vicino di stanza. Dai vattene via, la porta è là, non ti fermare per piacere.
«Ha nevicato stanotte, hai visto?»
Ecco che comincia: non esiste conversazione più sterile che sul tempo. Dio che odio!
«Già…» magari se giro la testa verso la finestra capirà che la conversazione è morta sul nascere.
«Vedo che ti sono arrivati dei nuovi libri, certo che sei uno che legge molto!»
Certo che leggo, almeno io so come si fa, vacca petulante!
«È l’unica cosa che mi distragga da quando sono qui; tutti quelli che avevo li ho già finiti.»
«Chi te li ha portati? Non ho mai visto nessuno venire a trovarti.»
«Ho chiesto a mio padre di farmene avere altri; Francesco li ha portati ieri sera.»
«Ah tuo padre si chiama Francesco? Non mi avevi mai parlato di lui.»
«No, Francesco non è mio padre.» Troia. «Non hai altre persone da visitare?»
«… Pensavo che ti avrebbe fatto piacere scambiare due parole. Scusami se sono stata inopportuna.»
Ecco, finalmente l’hai capito. Ora fuori dai piedi! Oh no! Si è fermata sulla porta, adesso che cosa vorrà dirmi?
«Il signor Colombo ci ha lasciati stanotte…avevate stretto amicizia mi pare.»
Il signor Colombo è morto. Era solo una questione di tempo ormai. Una volta a settimana andavo a trovarlo nella sua stanza qua accanto alla mia. Mi stava relativamente simpatico, un uomo colto, distinto, ma di una certa età. Faceva un po’ pena, povero. Si vedeva che un tempo era un uomo rispettabile, ma rimaneva ormai poco di questa rispettabilità: era talmente solo che si abbassava a fare lunghe chiacchierate con quelle ancelle dalla morte per alleggerire il peso della sua solitudine. Povero signor Colombo! Un po’ mi mancherà, anche se credo che tra non molto lo raggiungerò, solo che io me ne andrò con la mia dignità intatta. Sfortunatamente adesso non avrò nessuno con cui fare conversazioni un minimo stimolanti durante la settimana.
«Grazie per avermelo detto Gabriella.» Cos’è quel sorrisetto? Non lo sopporto. Mi rigiro verso la finestra e con questo chiudo questo inutile scambio di parole.
«Aspetta un attimo!»
«Dimmi.»
«Chi c’è adesso nella sua stanza? Ho sentito un gran vociare poco fa.»
«Una ragazza. Rimarrà lì solo per poco tempo, poi la porteremo in un’ala più appropriata.»
«Che cos’ha?»
«Da quando ti interessi degli altri scusa? Non lo so ancora, ma non è affar tuo.»
Per una volta che ho bisogno che mi parli se ne va via. Non c’è niente da fare, è proprio stronza.
Una giovane donna. Quanto giovane? Avrà la mia età? Come si chiama? Come mai è qui? Mi piacerebbe sapere qualcosa in più su di lei. Potrei andare a farle un saluto, magari a scambiare due chiacchiere. Ma che mi viene in mente! Sarà sicuramente un’ochetta petulante senza spessore con la testa piena di stronzate, come tutte le donne. Sì sicuramente è così. Spero di non averci mai nulla a che fare. Meglio se mi metto a leggere così almeno darò un senso a questa ennesima giornata di solitudine.
Eppure a volte mi piacerebbe parlare con qualcuno di interessante. Per quanto questi libri possano distogliermi dalla mia noiosa quotidianità, mi distolgono e niente più; tutte le ricchezze che acquisisco dalle mie letture spariranno con me in un istante nel momento in cui morirò, e credo che non manchi molto: è da qualche tempo che il dottor Gerardi durante le sue visite si trattiene più a lungo del solito nella mia stanza; fino a poco tempo fa parlavamo soltanto dei miei sintomi e degli effetti collaterali dei farmaci che mi stanno somministrando, ma ultimamente pare che al dottore interessi di più parlare del tempo che passa e della mia famiglia che della mia salute. Per abitudine mento sempre quando si tratta della mia famiglia anche se il dottore conosce perfettamente la situazione; mi rendo conto di non fare una bella figura, ma lui sta al gioco e mi risparmia l’umiliazione, e di questo gli sono grato. Credo che la complicità del dottor Gerardi sia di quanto più vicino ad un gesto paterno abbia mai vissuto. Diamine! Se mettessi per iscritto questi pensieri avrebbero un gusto squisitamente tragico; probabilmente leggerei quel libro e mi piacerebbe, ma viverlo è un’altra storia; farei volentieri a meno di vivere questa situazione.
Cos’è questo baccano?! Dev’essere successo qualcosa nella stanza accanto. La ragazza sarà peggiorata improvvisamente? Dio! Quanto vorrei sapere qualcosa in più su di lei, quanto vorrei conoscere la sua storia, vorrei vedere il suo viso, sentire il suono della sua voce. Potrei fare uno sforzo e andare a vedere cosa sta succedendo, sì dovrei farlo, ma non ora, aspetterò che tutti se ne siano andati. Immagino possa farle piacere parlare con qualcuno all’altezza di una conversazione decente in questo luogo.
La solitudine mi sta facendo diventare un rammollito, proprio come il signor Colombo, ma la curiosità mi sta uccidendo. Magari è bella, magari è carina, educata, intelligente e di piacevole compagnia; se fosse così sarebbe una vera conquista per me, così potrei finalmente spezzare questa quotidianità vuota e senza futuro, potrei finalmente avere una ragione per svegliarmi domani mattina. Che sia stata mandata da Dio questa ragazza? Sì dev’essere così! È chiaramente un segno; quante probabilità c’erano che una giovane donna finisse in questo reparto, nella stanza accanto alla mia, ora, in questo preciso momento della mia permanenza, in cui sono praticamente giunto al limite? Non ho mai creduto realmente in un dio, ma ad oggi posso dire con certezza che niente è casuale in questo luogo; per settimane tutto è rimasto invariato, le giornate passavano una dietro l’altra, scivolandomi addosso, senza novità, senza emozioni; l’unica cosa che cambiava era il libro che leggevo, ma per il resto tutto era immobile, come la neve caduta stanotte. Questo è il regalo di addio del signor Colombo, adesso mi è chiaro: mi ha voluto dare la possibilità di dare un senso alle mie giornate e a ciò che resta della mia vita.
È da qualche ora che non vedo più alcun movimento per il corridoio; bene, il momento è propizio. Spero solo di non pentirmene.
Un passo alla volta, piano piano dovrei farcela. Maledetti farmaci! Faccio fatica a restare in equilibrio. Dai ancora pochi passi.
Ci siamo.
«È permesso?» Nessuna risposta, magari starà dormendo. Vediamo com’è: un respiratore; questa qui è messa molto peggio di me ma nonostante tutto riesco a vedere una certa bellezza sfiorita. Dorme profondamente; chissà come mai è qui. La cartella! Darò giusto un’occhiata, devo togliermi questa curiosità. Benedetta, questo è il suo nome. Nomen omen avevo letto da qualche parte, sì, adesso non ho più dubbi: lei è qui per me, per alleggerire il peso della mia pena, per salvarmi da me stesso. Non appena si sveglierà parleremo e così finalmente smetterò di sentirmi solo; lei sarà all’altezza dei miei discorsi e non rimarrò mai deluso, perché lei è Benedetta.
«Ciao Benedetta, sono Andrea. È un piacere fare la tua conoscenza.»
«…»
«Guarda, ha ripreso a nevicare.»
La nostra conversazione è morta sul nascere.
