Resistere: Resto qui, l’ultimo libro di Marco Balzano

Pubblicato il Pubblicato in Critica, Letteratura

Con Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017, il filone della letteratura di montagna -per usare una comoda etichetta- ha trovato un nuovo posto nel panorama letterario italiano: con Le otto montagne lo scrittore milanese ha lasciato un segno nel mondo editoriale del nostro Paese, come nell’affetto dei lettori, e ha elevato la montagna a luogo principe in cui i suoi personaggi fanno i conti con i propri fantasmi, secondo un raffinato schema di nuova formazione interiore.

Di qualità decisamente meno elevata sono stati invece i libri usciti immediatamente dopo, per numerose case editrici, che hanno voluto inserirsi nella scia del successo di Cognetti. In questa carrellata di cliché fa però una grande eccezione l’ultimo romanzo di Marco Balzano, già vincitore del Premio Campiello 2015, che riesce a prendere una via del tutto originale, grazie al suo stile brillante ed essenziale e alle sue doti di fine ricercatore, in quel filone rilanciato da Paolo Cognetti. L’autore di Resto qui (Einaudi 2017) si distacca dalle banalità a cui abbiamo assistito durante uno degli anni -sarebbe sciocco negarlo- in cui si contano ben pochi “libri buoni”, per presentarci un romanzo capace di catturare l’attenzione e la sensibilità del lettore fin dal primo capitolo. Di solida formazione letteraria -grande studioso di Leopardi- Marco Balzano ci presenta un pezzo di storia dimentica e oggi banalizzata: la tragedia di Resia e Curron, sacrificati per la costruzione di una diga che ne ha causato l’allagamento. Una storia di montagna, con personaggi che in Val Venosta sono nati e che si trovano ad affrontare il progresso, simbolizzato nel romanzo dalla diga stessa: un fantasma di cemento la cui ombra si avverte in ogni capitolo.

L’autore sceglie la forma di una lunga lettera di confessione e di autoanalisi, scritta da Trina alla figlia sparita all’improvviso, partita un giorno per andare fuori dalla Valle. E proprio su questo grande conflitto dialettico è basato il libro di Balzano, sull’opposizione partire e restare. Trina resta, per fedeltà al marito Erich che nelle sue montagne ha il proprio fiero e ancestrale orizzonte, e con la speranza di vedere qualcuno che è partito ritornare a casa. Ma non è così che funziona, perché questo bivio sembra essere senza ritorno: per chi abbandona la terra dei padri non è previsto un rientro. Come chi nel ’39 decide di trasferirsi nei Reich, accentando l’offerta di Hitler che è quanto mai allettante: infatti va ricordato che con l’avvento del Fascismo le autonomie vennero abolite. In Val Venosta il tedesco viene dichiarato illegale, gli abitanti non sanno parlare italiano e si vedono strappare la lingua madre nella scuola, nella burocrazia e persino sulle lapidi nei cimiteri. Trina stessa, che ha studiato per diventare maestra, si vede portare via il concorso per insegnare da analfabeti siciliani e veneti. Ma proprio perché Trina resta decide di combattere: inizia a insegnare il tedesco ai bambini nelle katakombenschulen, le scuole clandestine organizzate dai preti della valle.
Così il restare diventa resistere. Non una rivoluzione o una guerriglia, quella verrà dopo: la lingua deve essere portata avanti, tramandata. Trina non ha dubbi, per lei il tedesco non è solo inserita nei geni del popolo dell’Alto Adige Südtirol, ma è una lingua bella; bella come l’Italiano, che i suoi compaesani masticano a fatica. Trina più volte deve leggere in paese i proclami del Duce, che vengono affissi rigorosamente in italiano, e a leggere le lettere che i mariti scrivono dal fronte per le mogli durante il conflitto mondiale.
Guerra che richiama tutti, tirolesi siciliani e piemontesi: anche Erich, che risponde alla chiamata e parte, lasciando Trina a resistere con il figlio e le bestie. Quando ritorna, ferito, decide subito che quando lo richiameranno salirà sulle montagne, sempre più in alto dove i nazisti non possono trovarlo.
Erich, che ci appare per la prima volta come il pastore errante dal sapore leopardesco, pagina dopo pagina si trasforma nel danzatore di Nietzsche: odiato dai compaesani quando decide di restare a Curron invece di partire per la Germania e deriso quando avverte tutti del pericolo della diga. Erich e Trina condividono tutti gli affanni e le prove che la montagna gli richiede, anche quando si affideranno a essa per sfuggire agli uomini della Repubblica di Salò. Ed è nel maso nascosto in alto nella neve che Trina, mentre gli uomini cacciano e fanno la ronda, si rende utile alla causa del restare: con la scrittura. Il prete che è accampato con loro le regala un taccuino, e lei ci si dedica con la stesso amore che aveva Pellico per il suo Dante ne Le mie prigioni.
Trina scrive alla figlia perduta ma mai dimenticata, che al bivio tra restare e partire ha scelto di lasciare la culla alpina. Trina scrive per tutta la sua vita, ovunque e in qualsiasi momento perché la grande resistenza di Trina è affidata alla parola.
Anche Erich lo capirà, quando, finita la guerra, si ritroverà a combattere contro la costruzione della diga, contro quel fantasma che non ha mai smesso di infestare la sua valle. E allora chiederà a Trina di scrivere per lui in Italiano, non più in tedesco, per dare forma alla sua profonda resistenza.

L’autore scrive senza sentimentalismi e senza esasperazioni, preferendo il principio della verosimiglianza con cui crea e anima i personaggi -bel lontani dai retorici partigiani holliwoodiani a cui siamo abituati- che suoi non possono propriamente dirsi: essi appartengono alla storia. Ed è grazie a questa sua grande attenzione, e alle sue fini doti di ricercatore, che Marco Balzano ci insegna -finalmente- la differenza tra una storia in montagna e una storia di montagna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

WordPress spam blocked by CleanTalk.