Il mangia carogne

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Senza grazia e gracchiando spicco il volo in una mattina d’inverno alla ricerca di un po’ di cibo. Ho tanta fame, ma di questi tempi è facile trovare di che nutrirsi.
Non sono molto gradito agli altri, dicono che faccio spavento, eppure non ho mai fatto male a nessuno; pare che io sia sinonimo di paura e di morte. Avrei sicuramente una vita più facile se fossi notturno dato che i miei abiti hanno il colore della notte; purtroppo non è la mia natura. Volo basso perché non vedo bene rischiando tutti i giorni la vita: la paura che suscito negli altri si trasforma spesso in violenza. Mi cacciano via a calci o lanciandomi sassi.
Provo a farmi capire, ho solo fame. Cerco di farvi abituare alla mia presenza, volandovi intorno, ma non faccio altro che peggiorare la situazione; non è bello non essere capiti, sapete? Dicono che nella mia voce c’è qualcosa di sgradevole, eppure io non ci trovo nulla di strano, è soltanto la mia voce, è sempre stata così. Solo i miei simili riescono a capirmi mentre tutti gli altri fraintendono, eppure mi chiedo cosa ci sia di strano nel chiedere un po’ da mangiare.
Per questo vi urlo contro. Ascoltatemi! Ma io dico, manco vi rubassi il cibo! Sono un mangia carogne, mi accontento di quello che trovo, di quello che mi lasciate, sì perché siete voi a lasciarmi sempre di che mangiare. Eppure fate di tutto per impedirmelo. Il cibo è li, in bella mostra, sotto la luce del sole; la tragedia, quella acre e succosa tragedia che avete lasciato fuori a marcire, dove tutti la possano vedere e dove tutti la possano piangere. La mano che mi nutre è la stessa che mi percuote.
Solitamente giro intorno alla carcassa per qualche minuto assicurandomi che non ci sia nessuno e poi scendo giù a terra. Saltello verso la carogna e la becco un paio di volte; voglio essere sicuro che sia morta, non sono mica un assassino, io. Ci pensano gli altri a uccidere al posto mio, semplicemente ne approfitto. Devo pur mangiare! So che non è bello per voi ma è la mia natura, tanto disprezzata nonostante il servizio che vi porto: sono lo spazzino di ciò che resta della vostra vita.
Questa è la mia apologia, mia e di tutti i miei simili, eternamente fraintesi e disprezzati dall’alba dei tempi.
Mi state ascoltando? Devo per caso gracchiare più forte?
CRACRACRA
È inutile, non ci capiremo mai, è la nostra natura.
Non porto rancore.

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