L’educazione americana di “Distanza ravvicinata”

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Non fatevi ingannare dal taglio canuto da signora per bene, o dagli occhiali tondi e spessi che siedono su un viso benevolo: Annie Proulx non le manda a dire, e la sua biografia sembra testimoniarlo. Famiglia di origini canadesi, nata nel Connecticut, cresciuta nel New England, laureata in Storia nel Maine, riconosciuta scrittrice di manuali tuttofare nel Vermont, e cittadina, per qualche anno, del Wyoming. La fama letteraria la raggiunge più che cinquantenne, quando decide di iniziare a mettere per iscritto tutti i ritratti di uomo e natura che aveva pazientemente registrato nel retro dei suoi occhiali furbetti. Da lì alla vittoria del Premio Pulitzer (con Avviso ai naviganti, tradotto in italiano nel 2018 per minimum fax) e all’immortale consacrazione in forma cinematografica di Brokeback Mountain, struggente bromancetra cowboy moderni, il passo è breve. Annie Proulx è, a tutti gli effetti, una celebrità. E allora perché nessuno, almeno in Italia, ne parla?

Forse è per lo sguardo compassionevole, ma sempre puntuale, che contraddistingue la sua narrativa, dove l’autrice appare impegnata a rendersi invisibile per permettere alla sua penna di registrare tutte le sensazioni, tutte le coordinate del mondo che si trova di fronte. Ed è proprio scegliendo di non comportarsi da protagonista della pagina che la Proulx riesce a insinuare le sue parole sottopelle:      tanto i dialoghi quanto le descrizioni sembrano essere stati strappati di bocca agli abitanti del luogo, e il lettore si trova istantaneamente trasportato al cospetto delle sterminate distese erbose racchiuse nei recinti di un ranch, o dell’odore di focacce fresche e caffè appena tolto dal fuoco. Questo, almeno, è quello che succede in Distanza ravvicinata. Storie del Wyoming (Close Range, 1999), il primo dei due volumi di racconti che l’autrice dedica alla terra dei cowboy per antonomasia, e che minimux fax ha appena pubblicato nella traduzione di Alessandra Sarchi. L’opera si compone di una serie di racconti, slegati, e di varia lunghezza; narrazioni laconiche, metafore radicate nella terra confezionate per cantare di amore, solitudine, e, visto che comunque si è in uno Stato selvaggio, di grandi bevute e qualche zozzeria.

 Storia dopo storia, la Proulx mette insieme il manuale di un’“educazione americana” fatta di carne,che non risparmia niente al proprio studente: insulti, oscena vividezza, miseria, addolcibili solo dall’aria di tenerezza soffusa e lirismo stoico e sofferente che continua a contraddistinguere la grande narrativa americana. Il Wyoming che ci viene presentato assume così le forme di uno Stato-provincia, rettangolo intagliato nella carta geografica e impregnato di un passato radicale, inestirpabile, dove prima o poi, se ci si muove troppo, si va a sbattere. Un mondo che ricorda la Sicilia del miglior Verga, così terrena eppure così legata a Dio, tanto da inserirlo un po’ posticciamente prima della Costituzione nella lista delle autorità a cui dovere obbedienza. Una divinità intrinsecamente “rurale”, che assume i tratti a volte del Fato pagano, autorità di ferro a cui niente e nessuno si può sottrarre, a volte della grande Madre Natura, che culla i suoi figli fino a strozzarli in una morsa di gelosia e sciami di cavallette estivi. C’è ben poco di cristiano, nel Wyoming che impariamo a conoscere, microcosmo a sé stante stretto in un temporalità ciclica, i cui unici confini solo il cielo, e il suolo sotto i piedi. Una prigione, una casa del diavolo, dove ogni tentativo di emancipazione del singolo finisce nella disillusione, e dunque ci si cerca di divertire come meglio si può.

Si potrebbe dire che nulla sia distante, nel Wyoming della Proulx, eppure che niente sia vicino. Gli sguardi si muovono frenetici in questo spazio compresso, preda di un frustrato desiderio di escapismo, cercando di proiettarsi verso un orizzonte ieratico, e irraggiungibile, sotto al quale può capitare qualsiasi cosa. Può avvenire, per esempio, che un trattore si riveli il principe azzurro di una ragazza confinata nel ranch di famiglia, o che uno scricciolo afflitto da complessi di inferiorità trovi la sua ragione di vita nel domare tori per soldi. Ci possono essere tempeste di neve tanto forti da occultare il mondo, e giovani tarchiatelle che agli occhi dei pretendenti locali appaiono come confetti. Vi possono fiorire storie d’amore lunghe una vita, ma destinate a durare solo una transumanza.

Il tutto tenuto magistralmente insieme dalla presenza inconspicua dell’autrice. Sembra quasi di poterla intravedere laggiù, a bordo scena, a zufolare placidamente, godendosi lo spettacolo di un’umanità condannata che non ha mai abbandonato l’idea della vita. Allora raggiungetela, e non dimenticate il binocolo: per godervi appieno la grandezza di questo affresco dolcissimo e impietoso serve, davvero, una Distanza ravvicinata.

 

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