La Brexit secondo Jonathan Coe: viaggio nella terra del “leave”

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Middle England– edito da Feltrinelli a novembre 2018 nella traduzione di Mariagiulia Castagnone – è l’ultimo romanzo del prolifico autore britannico Jonathan Coe. Si tratta di una satira mordace e lungimirante dell’odierna Inghilterra, condotta attraverso l’intrecciarsi delle vicende di una tipica famiglia delle Midlands, i Trotter, e dei loro amici, molti dei quali già protagonisti di due precedenti romanzi, La banda dei brocchi (2001) e Circolo chiuso (2004). Middle England si snoda lungo un arco di otto anni, dal 2010 al 2018, ripercorrendo gli eventi che dal primo governo britannico di coalizione hanno portato al controverso referendum sulla Brexit, passando per i disordini del 2011 e le Olimpiadi del 2012. Coe, però, non si limita a raccontarceli come li abbiamo letti sui giornali, focalizzandosi sulla vita pubblica, ma ci mostra anche come questi impattino sui singoli cittadini, svelandoci i retroscena, sia politici che psicologici, di un difficile momento della storia britannica, che diventa uno spunto di riflessione per l’Europa tutta.

Middle Englandè anche una sorta di moderno Padri e figli (romanzo ottocentesco dell’autore russo Turgenev) in salsa inglese, che narra il continuo incontro – e scontro – di ben tre generazioni.
Gli anziani rappresentano gli ultimi portavoce del tradizionale ideale inglese di equilibrio e compostezza, di quello che viene definito “smodato amore per la moderazione”, nostalgici di un passato che sa ancora di impero e con manie di persecuzione nei confronti di un nemico non ben definito, che sembra insinuarsi in ogni ambito della loro vita. Che si tratti di autovelox (“gli stronzi che li hanno messi pensano solo a spennarci”) o di mezzi di comunicazione (“non possiamo manifestare le nostre opinioni in televisione o nei giornali. La nostra televisione di stato ci ignora o ci tratta con disprezzo”), la sensazione è sempre quella di essere ingiustamente perseguitati da oscure forze superiori che incarnano un “nuovo fascismo”.

Le persone di mezza età, invece, si ritrovano a fare i conti con un presente scomodo, divisi fra il ricordo di un passato non idilliaco ma stabile (“era profondamente convinto che, in quegli anni, l’Inghilterra fosse un paese più unito, coeso, contraddistinto da un consenso generalizzato”) e il senso di colpa per il futuro problematico che si apprestano a lasciare ai propri figli (“possibile che lui e la sua generazione avessero combinato un tale disastro?”).
Figli che amano tutto ciò che le precedenti generazioni temono: la multiculturalità, l’appartenenza a una comunità, quella europea, che supera i confini nazionali e la libertà di costumi, anche sessuali (tra i personaggi secondari non manca un giovane che sta cambiando sesso).

Questa situazione ha determinato, da una parte, un senso di sfiducia nella classe politica e, dall’altra, un crescente sentimento di astio nei confronti degli stranieri risiedenti nel paese (oltre 9 milioni sui 65 totali nel 2017). Frutto del primo sono state le elezioni del 2010, in cui l’indecisione dell’elettorato ha portato al primo governo di coalizione di tutta la storia britannica, quello tra i Conservatori di David Cameron e i Liberal Democratici di Nick Clegg. Frutto del secondo è una sorta di guerra tra poveri che si rinfacciano discriminazioni a vicenda, convinti gli inglesi di non godere di pari opportunità e gli immigrati di essere percepiti come un cancro da eliminare. Una guerra più spesso silenziosa o limitata a singoli episodi quotidiani, che nel 2011 ha però assunto le dimensioni di una vera e propria rivolta, esplosa a Londra in seguito all’uccisione da parte della polizia di un sospetto di etnia Black British. I disordini, iniziati come una pacifica marcia di protesta da parte della popolazione di colore, si sono poi evoluti in qualcosa di diverso, che poco sembra avere a che fare con l’evento che li ha scatenati: “la gente si è accanita contro le attività commerciali più importanti, le grandi catene, i marchi internazionali, perché le considera parte delle stesse strutture di potere che la bloccano, impedendole di evolversi”.

Questa situazione ha determinato, da una parte, un senso di sfiducia nella classe politica e, dall’altra, un crescente sentimento di astio nei confronti degli stranieri risiedenti nel paese (oltre 9 milioni sui 65 totali nel 2017). Frutto del primo sono state le elezioni del 2010, in cui l’indecisione dell’elettorato ha portato al primo governo di coalizione di tutta la storia britannica, quello tra i Conservatori di David Cameron e i Liberal Democratici di Nick Clegg. Frutto del secondo è una sorta di guerra tra poveri che si rinfacciano discriminazioni a vicenda, convinti gli inglesi di non godere di pari opportunità e gli immigrati di essere percepiti come un cancro da eliminare. Una guerra più spesso silenziosa o limitata a singoli episodi quotidiani, che nel 2011 ha però assunto le dimensioni di una vera e propria rivolta, esplosa a Londra in seguito all’uccisione da parte della polizia di un sospetto di etnia Black British. I disordini, iniziati come una pacifica marcia di protesta da parte della popolazione di colore, si sono poi evoluti in qualcosa di diverso, che poco sembra avere a che fare con l’evento che li ha scatenati: “la gente si è accanita contro le attività commerciali più importanti, le grandi catene, i marchi internazionali, perché le considera parte delle stesse strutture di potere che la bloccano, impedendole di evolversi”.

Queste divergenze si inseriscono in un più ampio quadro di tensione, determinato da diversi fenomeni. Primo fra tutti, la crisi economica scoppiata nel 2008, di cui ha risentito in particolar modo la classe media, che “si era abituata a vivere negli agi e ora vedeva ciò che aveva conquistato sfuggirle di mano”. Crisi che nel Regno Unito sembra divenire il culmine di un processo iniziato con l’elezione a Primo Ministro di Margareth Thatcher nel 1979, in seguito alla quale stato sociale, sanità pubblica e tutto quello che era stato istituito dopo la guerra ha cominciato, nell’opinione di molti, a sfasciarsi. Tra gli effetti peggiori – e tutt’oggi più preoccupanti in prospettiva Brexit – la chiusura di numerose imprese, con un conseguente aumento della disoccupazione e un calo della produzione: “non produciamopiù niente. Se non produciamo niente, non abbiamo niente da vendere, perciò come… come faremo a sopravvivere?” Di contro, però, il settore edilizio ha conosciuto una crescita vertiginosa. La risposta a quello che può sembrare un paradosso viene dall’estero. Stranieri sono “i miliardari eurotrash” che fanno shopping a Chelsea, il quartiere più ricco di Londra. Come stranieri sono i finanziatori di buona parte dei nuovi edifici della capitale: “Sono anni che ci vendiamo, un pezzo alla volta. Di questi tempi, se cammini nel centro di Londra, ci sono buone probabilità che tu stia calpestando suolo straniero”.

Tutti questi elementi hanno contribuito, ciascuno a suo modo, all’esito del referendum sulla Brexit del 2016. Come si evince dalla mappa e dal grafico, la vittoria del “leave” è stata minima e concentrata soprattutto in Inghilterra – fatta eccezione per Londra, che si conferma un microcosmo a sé – e nella fascia di elettori più anziani. Si è dunque trattato di un evento che, oltre a gettare un grosso punto interrogativo sul futuro della Gran Bretagna e dell’Unione, ha esasperato ulteriormente le problematiche affrontate da Coe, spaccando letteralmente in due il paese. L’autore, pur rimarcando che “alcuni hanno votato per riprendersi la pienezza della sovranità e del potere legislativo, altri per ridurre l’immigrazione e rafforzare il controllo dei confini, altri ancora per ripristinare il senso di autostima della Gran Bretagna come nazione indipendente”, ipotizza anche che dietro al referendum si celino interessi economici di privati, che avrebbero finanziato la campagna per l’uscita. Certo è che, come afferma uno dei personaggi del romanzo, “arrivi a un incrocio e ti trovi davanti a una scelta. E ogni scelta che fai può cambiarti la vita. A volte radicalmente”. E proprio mentre si stanno discutendo i termini della scelta sulla Brexit, vale la pena di leggere Middle England, perché quelli affrontati da Coe – pur con tutta la comicità che lo contraddistingue – sono temi estremamente attuali in ogni paese europeo.

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