Il cattivo non è sempre l’orso

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Se la letteratura scandinava è sempre stata messa alla periferia del canone europeo, allora con questo libro ci troviamo alla periferia della periferia. Cucinare un orso (2018) costituisce una nuova affascinante tappa del viaggio guidato da Iperborea alla scoperta delle letterature del nord, da troppo tempo ingiustamente ignorate ma che negli ultimi anni stanno – meritevolmente – guadagnandosi sempre più attenzione tra i lettori italiani.

L’autore del libro – Mikael Niemi – ambienta i suoi romanzi di maggior successo (il più famoso è sicuramente Musica rock da Vittula, 2002) nella Lapponia svedese, nell’estremo nord del Paese, da cui egli stesso proviene. Una terra ben lontana, geograficamente e culturalmente, dalla regale Stoccolma, che è stata spesso bistrattata e negata di visibilità anche all’interno della stessa Svezia non solo per la sua lontananza dai centri nevralgici del potere ma anche per la sua natura di luogo di confine, data l’estrema vicinanza con la Finlandia. Una terra di cui Niemi ha scelto di essere portavoce ambientando anche questo nuovo romanzo nel Tornedal – la valle del fiume Tornio che segna il confine tra i due Paesi – una terra di boschi e foreste in cui lo svedese si mischia a dialetti finlandesi e alle lingue sami parlate dai lapponi.

È in questo crogiolo di culture e lingue che si snoda la vicenda di Cucinare un orso, un romanzo che, a voler fare molte semplificazioni, si presenta come un romanzo giallo. Siamo nell’estate del 1852 quando la morte di una giovane serva scuote la piccola comunità di Kengis; mentre le autorità cercano di insabbiare il fatto dichiarando che la giovane era stata aggredita da un orso, il pastore della comunità – quel Læstadius che qualche anno prima all’interno della Chiesa luterana aveva dato origine al movimento del Risveglio – sospetta invece che si tratti di omicidio. Aiutato dal giovane Jussi, un trovatello di origine sami che il pastore aveva salvato dalla strada e allevato come un figlio, egli cercherà di risolvere il mistero che si cela dietro alla morte della ragazza e delle altre che seguiranno, venendo egli stesso coinvolto in un turbinio di eventi drammatici.

I lettori amanti di questo genere possono sicuramente trovare pane per i loro denti nel romanzo, che tiene con il fiato sospeso e affascina soprattutto grazie al modo in cui viene tratteggiato il personaggio di Læstadius. Un uomo rigido e severo secondo le cronache dell’epoca ma che qui viene descritto con tratti molto umani e quasi affettuosi. Un detective che è prima di tutto un uomo di Chiesa e si destreggia tra crimini e atmosfere sinistre grazie alla forza della ragione, facendo della deduzione logica e dell’attenzione ai minimi dettagli la chiave vincente per la risoluzione del mistero che avvolge questo angolo di Tornedal, aiutato dal fedele e combattuto allievo Jussi. Tutte caratteristiche che secondo alcuni avvicinerebbero molto questo romanzo alle atmosfere e ai personaggi de Il nome della rosa.

Cucinare un orso, però, va ben oltre questo e il racconto giallo è solo una delle mille sfaccettature di questo libro. Se il genere del mistero e dell’indagine viene rappresentato soprattutto dal personaggio di Læstadius, è la figura del giovane Jussi a permettere all’autore di invitare alla riflessione su altre due profonde tematiche.
La prima, evidente fin dalle prime pagine e destinata a giungere alle sue estreme conseguenze nelle ultime, è sicuramente quella del razzismo e della discriminazione: un giovane lappone – analfabeta, non battezzato, senza una famiglia, che si esprime prevalentemente in lingua sami – si trova catapultato in una comunità finlandese, che oltretutto vive a sua volta come minoranza nell’estremo nord del Regno di Svezia. Un emarginato tra gli emarginati, quindi, che trova in Læstadius e nella sua famiglia uno dei pochissimi angoli di tenerezza e comprensione.

Un tema sicuramente di grande attualità, in questo caso collocato in un luogo geograficamente lontano e con tipologie di vittime e carnefici a noi totalmente estranei, ma non per questo meno scottante o angosciante nelle sue manifestazioni più violente.
Jussi però non è destinato a rimanere sempre e solo un sami sporco e analfabeta, ed è proprio in questo che si cela la seconda significativa riflessione offerta da Niemi. Nei confronti del giovane, infatti, Læstadius non è solo il buon samaritano che lo salva dalla strada e gli dà i mezzi economici per sopravvivere; Læstadius è anche colui che gli insegna a scrivere, a leggere e a esprimersi in finlandese e in un rudimentale svedese. Piano piano e faticosamente Jussi impara a prendere in mano la matita e a tracciare sghembe lettere su un foglio, fino a diventare un vero e proprio assistente che, prendendo meticolosamente appunti, assiste il pastore nelle sue indagini. Læstadius – noto anche come botanico e uomo di scienza – insegna a Jussi a riconoscere piante e fiori, quindi a relazionarsi alla natura che lo circonda in modo più consapevole e meno istintivo. Gli trasmette i rudimenti della retorica e dell’eloquenza, sperando che il giovane lappone possa un giorno inserirsi a pieno nella comunità e diventare un predicatore abile tanto quanto lui.

La riflessione qui sollevata è chiaramente sulla connotazione del sapere (in modo particolare nelle sue forme di base: la scrittura e la lettura) come ciò che rende un uomo veramente tale, permettendogli di crescere in consapevolezza di sè e del mondo circostante e, quindi, anche di vivere in modo più completo, non limitato solo alla mera sopravvivenza materiale. Un elemento in cui Læstadius credeva molto, tanto da farsi promotore di una vera e propria campagna di alfabetizzazione e scolarizzazione della popolazione rurale del Torneval, anche nel tentativo di strapparla alla piaga dell’alcolismo.

Cucinare un orso è dunque un libro in grado di affascinare diverse tipologie di lettori: coloro che cercano una detective story intrigante e non banale, coloro che amano i romanzi in grado di far riflettere oppure, più semplicemente, coloro che amano perdersi nei boschi di betulle del Grande Nord, dove il sole non tramonta e in cui gli orsi vagano tra monti e paludi.

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