L’anno senza sole

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Anno 536 d.C.
Uno strano fenomeno viene registrato in più parti del Mediterraneo, dall’Italia alla Siria, suscitando la preoccupazione dei contemporanei. Lo storico Procopio, che allora viaggiava tra Africa e in Italia, lo descrive con queste parole:

Durante quest’anno ebbe luogo uno stranissimo portento. Il sole, infatti, donava la sua luce senza brillantezza […] Assomigliava straordinariamente al sole durante le eclissi, perché i raggi che diffondeva non erano chiari.

Thomas Cole, The Course of Empire Distruction (1836)

Anche Cassiodoro, prefetto del pretorio nell’Italia di Teodorico, parla per quell’anno di un sole offuscato, azzurrognolo, il cui calore era ridotto a un tepore, insufficiente per scaldare la terra e far maturare le messi. Queste particolari condizioni non furono passeggere: persistettero almeno per tutto il 536, causando siccità e diminuzione delle temperature e di conseguenza gravi danni ai raccolti, tanto che il prefetto consiglia di tener da conto le cospicue risorse dell’anno precedente. Alcune cronache siriache, addirittura, allungano la durata del fenomeno, che descrivono come un’eclissi, a un anno e mezzo.

Ma in cosa consistette realmente questo singolare avvenimento? Cosa oscurò il sole per così tanto tempo, provocando gravi disagi nel già travagliato mondo mediterraneo del VI secolo?
Il primo a provare a dare una spiegazione è lo stesso Cassiodoro, il quale, convinto della necessità di processare con razionalità “scientifica” i fenomeni, per non ricadere nella paura, elabora una curiosa teoria. Secondo lui, il raffreddamento del clima sarebbe stata la causa, non la conseguenza, dell’offuscamento del sole: esso avrebbe fatto condensare l’aria, normalmente pura e limpida, in neve, generando così uno strato opaco, che avrebbe ostacolato la luce e il calore dell’astro.

La versione di Cassiodoro, naturalmente, non ha soddisfatto gli scienziati moderni, i quali, stimolati anche dalle domande di storici e archeologi, hanno provato a capirci di più.
È entrata così in gioco la paleoclimatologia, la scienza che ricostruisce e studia il clima antico e le sue variazioni sulla base dei cosiddetti “proxy data”, caratteristiche fisiche dell’ambiente antico che si preservano all’interno di alcuni “registratori” naturali: come ad esempio gli anelli degli alberi, i sedimenti lacustri e oceanici, i pollini, i ghiacciai e le calotte glaciali.
Queste ultime in particolare sono delle portentose banche dati perché conservano, sigillati e stratificati ordinatamente, i residui dell’atmosfera (microparticelle) che ogni anno vi si depositano, intrappolati nella neve. Gli scienziati sono così in grado, attraverso dei carotaggi, di risalire alle caratteristiche dell’atmosfera di uno specifico periodo storico, registrandone le eventuali anomalie.
E, interrogate sul periodo che ci interessa, le calotte groenlandesi hanno dato risposte interessanti. I dati indicano che proprio nel 536, ad alte latitudini nell’emisfero nord, ebbe luogo una potente eruzione vulcanica, che iniettò nella stratosfera una grande quantità di particelle, le quali rimasero presumibilmente sospese nell’aria per molto tempo. Ecco dunque finalmente svelata la probabile causa del misterioso fenomeno documentato da Procopio e Cassiodoro.

Ma c’è di più. Qualche anno dopo, nel 541, sembra essere avvenuta, questa volta a latitudini tropicali, un’eruzione ancor più devastante: secondo gli scienziati, il suo influsso sul clima sarebbe stato addirittura superiore alla celebre esplosione del vulcano indonesiano Tambora (1815) che provocò nel 1816, in Europa, il cosiddetto “anno senza estate”.
Gli effetti di queste due grandi eruzioni, sommati a quelli di una terza, meno potente, nel 547, furono drammatici: estati fredde e inverni rigidi negli anni immediatamente successivi e, ipotizzano gli scienziati, l’innesco di quella che chiamano Late Antique Little Ice Age, Piccola Era Glaciale Tardoanitca, abbreviata nell’eufonico acronimo LALIA: un periodo freddo, durato dal 536 al 660 ca.

Non è la prima volta che gli scienziati individuano, per questo periodo storico, fenomeni di raffreddamento del clima. Già dagli anni ’80 i primi studi paleoclimatici dividevano gli ultimi 2000 anni in cinque macrofasi, che tentavano di collegare con i grandi fenomeni storici. Un periodo caldo negli anni dell’impero romano, a cui sarebbe seguito un “Periodo freddo tardo antico” (Dark age cold period, DACP) dal 400 al 900 d.C., negli anni delle invasioni barbariche, del crollo dell’impero e dell’alto medioevo. Poi ancora caldo nei secoli IX-XIII, quando l’economia europea rifiorisce e un nuovo tracollo dal XIV secolo – quello della Peste Nera, per intenderci – con un raffreddamento del clima e l’avvio della “Piccola Era Glaciale” (Little Ice Age, LIA), che accompagna la storia del nostro continente fino alla metà dell’800.
Infine il periodo attuale, con il riscaldamento globale che ben conosciamo: senza pari, almeno negli ultimi due millenni.

I periodi climatici della nostra era, in base ai dati degli anelli arborei.

Questa divisione in blocchi, di certo, ci può sembrare un po’ tagliata con l’accetta. E se ci pensiamo bene corrisponde a certi pregiudizi che, più o meno consapevolmente, abbiamo sulla storia: chi di noi quando pensa all’impero romano non si immagina bianchi edifici e strade perfette sotto un cielo sempre sereno? Mentre quando arrivano i barbari, l’impero crolla e inizia il medioevo, improvvisamente l’ambientazione diviene fredda e cupa, e dominano il fango e la pioggia.
In effetti, nella storia, le divisioni rigide e le semplificazioni non funzionano mai, né tantomeno i pregiudizi. I fenomeni non hanno quasi mai una sola causa determinante: nel nostro caso, non si può far dipendere tutto dal tempo che faceva. Eppure i nuovi studi, pur modificando alcune periodizzazioni, sfumandone i confini e cambiando alcune etichette – ad esempio non si parla più di DACP ma si è preferito introdurre la LALIA – sembrano confermare molte delle linee generali. Insomma, almeno nei territori dell’attuale Europa, il periodo tra V e VII secolo è stato più freddo della media, in particolare dopo i traumatici eventi del 536 e degli anni seguenti.

Ritorniamo allora per un momento in quegli anni: perché gli studiosi hanno tentato di collegare specifici avvenimenti storici al raffreddamento del clima.
Ad esempio la celebre Peste giustinanea, epidemia devastante che funestò l’impero bizantino uccidendo milioni di persone. Abbiamo detto che la velatura del sole e la conseguente debolezza della sua luce causarono gravi danni ai raccolti. Ma non solo: sembra che l’offuscamento dei raggi solari abbia ostacolato anche la produzione di vitamina D degli uomini del tempo, fondamentale per il sistema immunitario, esponendoli a infezioni batteriche. La Peste esplose, in seguito a carestie, proprio tra 541 e 543.
In più, le carestie potrebbero aver spinto alcuni popoli a spostarsi per sopravvivere: ad esempio gli Avari, che proprio in questi anni migrarono dall’Asia centrale, arrivando sul Mar Nero verso il 550 e causando, a catena, spostamenti di altre genti. Tra queste i Longobardi che nel 568, dall’Ungheria, caleranno in Italia.

Tirando le somme forse è vero che, come ha detto qualcuno, la moda – un po’ da inglesi – di parlare del tempo che fa e che faceva dipende dalle paure della nostra epoca, in cui il clima, con il riscaldamento globale in atto, è un argomento di primo piano, che spaventa, fa discutere e viene persino impugnato – irresponsabilmente – in politica.
Stiamo in guardia allora dal considerare l’agire umano come determinato esclusivamente dal clima: l’uomo ha dalla sua anche delle raffinatissime capacità di adattamento e i fenomeni storici – l’abbiamo già detto ma è bene ricordarlo – sono l’esito di una molteplicità di cause, non sempre chiare.
Però stiamo ancora più attenti a non considerarci onnipotenti e indipendenti dal nostro ambiente. Spesso siamo riusciti ad adattarci, è vero, ma altre volte siamo stati costretti a scelte spiacevoli, come lasciare le nostre terre e andarcene altrove; altre ancora non ce l’abbiamo fatta.

Oggi, oltre a essere influenzati dal clima, lo influenziamo a nostra volta, e in negativo. Il vantaggio che abbiamo, però, è quello di poter prevedere, in misura infinitamente maggiore rispetto ai nostri antenati, gli esiti delle nostre azioni, regolandoci di conseguenza. E allora sarà nella nostra capacità di guardare oltre il bisogno immediato che si misurerà la nostra abilità di adattamento. Il destino della nostra specie dipenderà dalla sua lungimiranza.

Un pensiero su “L’anno senza sole

  1. Qualche riferimento bibliografico per maggiori informazioni:

    – MCCORMICK M. 2013, What Climate Science, Ausonius, Nile floods, rye, and thatch tell us about the environmental history of the roman empire, in The ancient mediterranean environment between science and history, Columbia, pp. 61-88.

    – BÜNTGEN U. ET AL. 2016, Cooling and societal change during the Late Antique Little Ice Age from 536 to around 660 AD, in Nature Geoscience 9, pp. 231–236.

    – HELAMA S. ET AL. 2018, Volcanic dust veils from sixth century tree-ring isotopes linked
    to reduced irradiance, primary production and human health, in Scientific Reports, 8, pp. 1-11.

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